Seleziona una pagina
w

Frank Unwin

(Liverpool, 1920 – Orpington, 2018)

MBE, Liverpool Territorial Army, Royal Artillery

Frank Unwin

(Liverpool, 1920 – Orpington, 2018)

MBE, Liverpool Territorial Army, Royal Artillery

Frank all’età di 18 anni con l’uniforme della Territorial Army (Maggio 1939)

Frank ha diciotto anni quando si arruola. Combatte in Grecia, a Creta, in Egitto, prima di essere catturato a Tobruk, in Libia, il 21 giugno 1942. Vive l’esperienza della cattura con un senso di profonda vergogna, promettendo a sé stesso che tenterà in ogni modo di fuggire.

Nell’agosto ‘42, dopo l’arrivo a Brindisi, viene trasferito nel PG.82 di Laterina (Arezzo), campo ancora in fase di approntamento, alla cui costruzione contribuiscono gli stessi prigionieri.

Grazie al dizionario d’italiano che la madre gli invia e alle chiacchiere che scambia con le sentinelle di guardia, riesce presto a esprimersi in italiano, consapevole che la conoscenza della lingua potrà agevolarlo in caso di evasione. Nella primavera del 1943 si fa assegnare al campo di lavoro distaccato di Borgo San Lorenzo (Firenze), una struttura meno sorvegliata, da cui riesce a fuggire. Qualche giorno più tardi, è ricatturato nel territorio circostante da una pattuglia di Carabinieri e riportato a Laterina, dove viene condannato a dieci giorni “di rigore” , immobilizzato di notte e sottoposto a continui appelli.

Il tunnel scavato dai prigionieri presso il campo di Laterina (Disegno di Frank Unwin)

Non abbandona però il suo proposito: si unisce, infatti, a un gruppo di venticinque uomini impegnato da giorni nella realizzazione di un tunnel di fuga. L’opera è quasi pronta quando sopraggiunge la notizia dell’armistizio. Frank ad altri tre compagni, di fronte all’imminente arrivo dei tedeschi, decidono di fuggire:

 […] Dopo esserci lasciati alle spalle il principale dei nostri problemi [il campo di Laterina], la nostra mente era tutto un brulicare di idee su quali avrebbero dovuto essere i prossimi passi, un’incertezza che ci poneva in uno stato di profonda agitazione. Ci era stato più volte ripetuto che il nostro dovere di militari, in caso di arresto, era quello di tentare un’evasione, mancavano invece le istruzioni sul “cosa fare dopo”.  

I quattro decidono di dirigersi a sud, dove sperano di riunirsi alle truppe sbarcate a Salerno. Le  condizioni climatiche di un simile percorso sembrano essere di gran lunga migliori rispetto a un eventuale attraversamento delle Alpi verso la Svizzera. Camminano tra la vegetazione e le campagne, godendo delle temperature miti e dell’assistenza di coloro che incrociano lungo il percorso.

Le persone che incontravamo capivano subito che eravamo ex prigionieri e quando passavamo di fronte a una casa ci salutavano dicendoci “Venite in casa. Un bicchierino?” Quella sorta di benvenuto fu di enorme sollievo per il nostro morale e ci diede la speranza che la nostra missione potesse avere successo.

Per alcuni giorni avanzano spediti. Frank, tuttavia, inizia a soffrire di frequenti episodi di epistassi che rallentano l’intero gruppo. É per questo che decidono di fermarsi presso la casa del contadino Ginestrino Becucci, incontrato in località Cennina (Bucine, Arezzo). Questi insiste a lungo affinché i quattro siano suoi ospiti dal momento che, confessa destando il loro stupore, molti nella zona avevano già portato a casa degli ex prigionieri, mentre la sua famiglia si lamentava del fatto che lui non fosse ancora stato in grado di fare altrettanto. La famiglia di Ginestrino – moglie e 7 figli  – è povera ma assolutamente accogliente e sembra essere del tutto inconsapevole del pericolo che corre nell’aiutarli.

Siamo arrivati nella loro casa e senza esitazione ci è stata data una stanza e un letto, sebbene tutto lo spazio a disposizione avesse dovuto essere riorganizzato. Ci siamo seduti a tavola con loro e abbiamo condiviso il poco cibo a disposizione. Loro inoltre è stata l’idea di tingere i nostri vestiti in modo da nascondere i colori militari. La loro buona volontà e preoccupazione nei nostri confronti sembravano davvero inesauribili.

Sebbene Ginestrino insista perché si trattengano a lungo, Frank, le cui condizioni di salute sono rapidamente migliorate, annuncia loro l’intenzione di voler rimettersi in viaggio. I quattro si allontanano con l’immagine di tutta la famiglia davanti alla porta che li saluta.

Qualche giorno più tardi, tuttavia, il cammino si interrompe di nuovo per il riacutizzarsi dei problemi al naso di Frank. Questi decide allora di abbandonare i compagni per cercare una soluzione.

Ero davvero preoccupato per la mia salute e senza poter consultare un medico non avevo altra scelta. Avevamo condiviso il sudore e la fatica per la costruzione del tunnel e il cammino percorso dopo che avevamo lasciato il campo di Laterina. Nell’augurare loro buona fortuna ero commosso. Li vidi per l’ultima volta allontanarsi dietro i cespugli. Non ho mai saputo quale fosse stata la loro sorte.

Intenzionato a tornare presso la casa di Ginestrino, Frank incontra invece Lello, che lo riconosce subito come “inglese” e si offre di accompagnarlo dal suo amico Vittorio, che lo rifocilla e nasconde. Questi lo informa, inoltre, che da quelle parti ha trovato rifugio anche un gruppo di sei prigionieri alloggiati in una baracca tra i vigneti, in zona Pietraviva, I militari vengono sfamati dalla popolazione dei paesi limitrofi che si occupa quotidianamente delle loro necessità.

Era domenica. Arrivavano a piccoli gruppi dai casolari o dai paesi circostanti. Durante l’intero pomeriggio noi prigionieri accoglievamo i visitatori e il cibo che le persone ci portavano. Alcune famiglie avevano con sé dei pentolini con la pasta calda. E poi pane, pecorino, salame e salsicce, così come uva, fichi e pesche. Il vino poi non mancava mai.

Anche Onelia Pieraccini e Corrada Landi, di Montebenichi, paese a qualche chilometro di distanza, partecipano a quella processione. Frank le rivede qualche giorno dopo, quando riporta loro alcuni fiaschi di vino vuoti. Le due giovani lo invitano a rimanere nel villaggio: sarà la gente del posto a prendersi cura di lui, così come sta facendo con altri prigionieri. Frank viene sistemato in una baracca all’ingresso del paese.

Nel corso della sua permanenza a Montebenichi, da cui si muove quotidianamente per visite nei villaggi circostanti, diventa osservatore attento degli usi e costumi della comunità, partecipando in modo attivo alla vita del paese e sfuggendo ad alcuni incontri con i tedeschi che si presentano di tanto in tanto nella zona in cerca di ex prigionieri.

Montebenichi (in basso a destra la baracca della famiglia Landi in cui Frank trova riparo)

Dopo essere stato al paese per un po’ di tempo ho realizzato come fosse primitiva la loro vita. Non c’erano né elettricità né gas, ma solo le lampadine a incandescenza che emanavo una luce molto debole. D’inverno, quando il buio calava presto, le famiglie stavano in casa e confezionavano cesti e panieri da usare nei mesi a venire. Non c’era acqua nelle case. Nella piazza c’era un pozzo, ma non era più stato usato: era necessario portare a mano tutta l’acqua da una sorgente che era fuori dal paese.
C’erano parecchi forni per cuocere il pane e ogni giorno le donne preparavano la pasta fresca.
La carne era poca: gran parte delle famiglie aveva conigli, piccioni e due-tre maiali. Gli uomini andavano a caccia e ciò permetteva di portare a tavola anche una lepre o un fagiano. I più piccoli andavano nel bosco per catturare gli uccellini.
Alcuni avevano delle pecore per il formaggio e la lana, usata per produrre i vestiti dell’intera famiglia
Non c’era nessun telefono e in tempo di guerra l’unica radio permessa era presso il “dopolavoro”.  Però generalmente c’era una radio nella casa di ogni prete.
Nessuno in paese aveva una automobile, tutto il lavoro agricolo era fatto dai buoi.
Forse la guerra aveva reso la loro vita ancora più misera rispetto a quanto accadeva in tempi normali, ma la mia impressione era che si trattasse di un modo di vivere assai antico e radicato.

Nella primavera del 1944 Frank si fa impaziente: l’avanzata degli alleati che, al momento dell’armistizio, aveva immaginato essere rapida si è invece bloccata. Sa, inoltre, che la sua famiglia non ha più sue notizie ormai da mesi. Grazie all’assistenza della popolazione di Montebenichi e dei villaggi circostanti è di nuovo in salute e in buona forma fisica, una condizione che lo spinge a riprendere il suo viaggio a sud interrotto cinque mesi prima. Si uniscono a lui anche altre due ex prigionieri, Roy e Don, ospitati nella vicina Pietraviva.

Alla notizia della partenza gli abitanti di Montebenichi avevano organizzato una riunione presso la sede del dopolavoro con il proposito di dissuaderci dall’andare via. Gli uomini del paese intervenivano uno dopo l’altro per esprimere la loro contrarietà,  elencando tutte le difficoltà che avremmo incontrato lungo il nostro cammino. Le donne ci supplicavano di restare, abbandonando quell’idea folle. Alcune erano in lacrime.
Noi avevamo però preso la nostra decisione, pensando in particolare alle nostre famiglie e comunicammo loro che non ci avrebbero fatto cambiare idea. Ringraziammo però di tutto cuore per la cura e la dedizione che avevano avuto, in particolare, miei confronti.
Al crepuscolo di una limpida mattina di primavera, lasciammo definitivamente la capanna nel bosco. Mentre ci avvicinavamo al villaggio notavamo come ci fossero molte persone ad attenderci per salutarci. Poi fu il turno di Onelia e Corrada che  mi strinsero in un forte abbraccio e io mi resi conto di quali meravigliose amiche erano state.
Eravamo pronti per scoprire cosa ci attendeva.

Il cammino di Frank e dei suoi compagni verso le linee alleate non prosegue però a lungo: i tra vengono presto intercettati da alcuni militi della Guardia Nazionale. Dopo essere transitati per Siena, Firenze e Mantova tornano ad essere prigionieri in Germania, presso lo Stalag XIA, a Altengrabow, nelle vicinanze di Magdeburgo. Frank viene presto trasferito presso alcuni campi di lavoro: il cementificio di Jesabruch e la cava di Anhalt, dove le condizioni di vita sono durissime. Anche qui, non si perde d’animo, e continua a immaginare possibili piani di evasione. Nel marzo 1945, di fronte all’imminente vittoria degli Alleati, Frank riceve l’ordine di abbandonare il campo e ed è tra i prigionieri protagonisti della “lunga marcia”. Dopo estenuanti settimane di cammino è finalmente liberato dalle truppe americane il 12 aprile 1945.

Era finalmente arrivato il momento che attendevo da tre anni. E ora ringraziavo per avercela fatta e per essere stato risparmiato […] La riconoscenza più grande era per gli abitanti di Montebenichi e degli altri villaggi della Valdambra, le cui cure mi avevano permesso di rimanere in forma e in salute. Senza la loro assistenza non sarei mai sopravvissuto alla dura prigionia in Germania.

A partire dal 1949 e fino alla sua morte Frank è tornato regolarmente in Valdambra per fare visita a quanti, protagonisti diretti e loro discendenti, gli avevano salvato la vita.

Campi legati a questa storia

Luoghi
  • Italia: PG.82 Laterina (AR), campo di lavoro distaccato di Borgo San Lorenzo (Fi), Val d’Ambra (Bucine, Cennina, Pietraviva, Montebenichi),
  • Germania: Stalag XI A Al
Fonti:
  • F. Unwin, Escaping has ceased to be a sport, Pen & Sword, Barnsley, 2018
  • F. Unwin, Roll on stalag, memoria privata (2011)
  • PG89 Laterina – https://campifascisti.it/scheda_campo.php?id_campo=365