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Il progetto

Premesse

Nel 2020 la Fondazione San Martino Trust ha sollecitato l’Istituto nazionale Ferruccio Parri a stringere una collaborazione lavorando sul tema dei prigionieri alleati in Italia.
Da questo incontro nasce dunque il progetto di mappatura dei campi di prigionia, che si è però deciso di inserire in una cornice più ampia, che possa mettere a sistema gli studi svolti in passato e proporre nuove evidenze sul tema complessivo della presenza alleata in Italia, dal 1939 al 1947.

 

Le aree di ricerca

L’idea è dunque quella di affrontare i seguenti aspetti:

  • il censimento dei campi di prigionia;
  • la raccolta di racconti e testimonianze dei prigionieri fuggiti dagli stessi campi dopo l’8 settembre; cercando di tracciare le loro traiettorie di salvataggio, ritorno in patria o impegno nella Resistenza e di rilevare quando e dove è stato loro fornito aiuto dalle comunità italiane locali.
  • il censimento delle missioni alleate in Italia a sostegno della Resistenza stessa;
  • il censimento dei civil officers dell’Amg, che potrebbe coinvolgere particolarmente il centro-sud;
  • Il censimento dei bombardamenti, in collegamento con il portale dedicato della Lincoln University;
  • il censimento dei luoghi di memoria alleati in Italia, da realizzare insieme a Liberation Route Italia,

Tra questi ambiti, grazie al finanziamento della Fondazione San Martino Trust finora il lavoro si è concentrato sui primi due.

 

I campi di prigionia

(A cura di Isabella Insolvibile e Costantino Di Sante)

Tra il 1940 e il 1943 vengono detenuti in Italia circa 70.000 militari facenti parte della coalizione alleata, perlopiù rappresentanti le diverse nazionalità comprese nel Commonwealth, oltre a una minima percentuale di statunitensi. Catturati sui fronti africani e nel Mediterraneo, questi prigionieri sono concentrati sulla penisola dopo un periodo, più o meno lungo, di detenzione in Africa. I campi italiani si distinguono in siti di transito, di concentramento e di lavoro, e sono 61, non tutti entrati e rimasti in funzione contemporaneamente. La prima tappa metropolitana, una volta superato il difficilissimo viaggio di trasferimento, è rappresentata dai campi di smistamento e transito del meridione, una realtà difficile da vivere e da gestire, che denuncia immediatamente l’inadeguatezza dell’Italia come paese detentore. Anche i campi di concentramento, dove i prigionieri vengono trasferiti “stabilmente”, soffrono di svariate criticità nelle strutture, negli impianti e in generale nel sistema di cura e trattamento riservato ai nemici catturati. Trattenuti in Italia a puro scopo detentivo, tra la seconda metà del 1942 e la prima metà dell’anno successivo, alcuni prigionieri vengono anche addetti a lavori, perlopiù in ambito agricolo o industriale, ma anche nel cinema o in impieghi proibiti perché connessi allo sforzo bellico del detentore.

Il comportamento di quest’ultimo nei confronti dei prigionieri alleati è generalmente inadeguato, talvolta apertamente ostile, e ciò si concretizza in aperte violazioni della Convenzione di Ginevra, che sono una caratteristica dell’esperienza italiana e che rispondono innanzitutto all’incapacità materiale del paese di provvedere alle necessità elementari dei propri cittadini o dei propri ospiti forzati. In Italia si verificano anche alcuni crimini di guerra, un fenomeno più consistente di quanto si possa immaginare.

La prigionia italiana dei soldati alleati si conclude con l’armistizio del settembre 1943, quando alcune centinaia di uomini riescono a sottrarsi alla ricattura da parte dei tedeschi grazie al fondamentale aiuto dei civili italiani, e in alcuni casi a prendere parte alla lotta di Liberazione al fianco dei partigiani autoctoni.

Migliaia di prigionieri, invece, finiscono in mani naziste, proseguendo la cattività in Germania.

 

Le storie

(A cura di Eugenia Corbino e Nicola Cacciatore)

Per coloro i quali la prigionia si conclude dopo l’8 settembre 1943, comincia un difficile percorso di sopravvivenza nel tentativo di sottrarsi alla ricattura da parte dei tedeschi. Il primo passo è rappresentato dalla fuga dai campi di prigionia in cui avevano trascorso periodi di tempo più o meno lunghi.

Il portale “Alleati in Italia” propone una selezione di 40 Storie di prigionieri alleati evasi dagli oltre 60 luoghi di internamento censiti e analizzati nella sezione “campi”, ricostruendo cosa accadde a chi ebbe la possibilità di oltrepassare il filo spinato.

Le Storie presentate si pongono l’obiettivo di documentare la variegata tipologia di esperienze vissute dai militari alleati in fuga nella penisola, descrivendo la gravosa scelta di rimanere al campo o fuggire (condizionata spesso dagli ordini impartiti nella struttura), il cammino percorso, il fondamentale aiuto ricevuto dalla popolazione locale e le relazioni di amicizia instauratesi con gli italiani, l’impegno di alcuni dei militari con i partigiani in favore della Resistenza.

Molti fuggitivi ebbero la possibilità di riparare in Svizzera o di ricongiungersi agli eserciti alleati a Sud per poi essere rimpatriati; altri, invece, subirono una ricattura tornando a essere prigionieri in Germania. Non mancano, inoltre, storie di fuga che si concludono tragicamente, con la morte del prigioniero stesso. 

La selezione delle Storie presenti nel portale, avvenuta sulla base della documentazione disponibile e brevemente descritta a seguire, è stata realizzata cercando di dare spazio a vicende inedite o meno conosciute, che possano offrire al lettore uno spaccato della molteplicità e varietà delle esperienze vissute dai militari in fuga.

In un’ottica di massima divulgazione, le Storie sono state redatte con un linguaggio semplice e chiaro, avvalendosi di citazioni tratte direttamente dalle memorie, dai resoconti o dalle interviste che i prigionieri hanno prodotto durante o dopo quell’esperienza.

Laddove disponibili sono state inserite fotografie e immagini. In tutte le Storie, inoltre, è possibile seguire il percorso compiuto dai militari in fuga nell’Italia occupata attraverso una mappa che segnala le diverse tappe toccate.

Si è volutamente scelto di riportare i nomi, ove disponibili, di coloro che prestarono soccorso, i così detti helpers, spesso contadini, con l’obiettivo di favorire il riconoscimento di quanti, in modo spontaneo, manifestarono la propria solidarietà verso quegli uomini braccati e in fuga.

L’auspicio è che la lettura delle Storie possa farne emergere altre a tutt’oggi rimaste nel silenzio.