Seleziona una pagina
w

William John Frank (Jack) Clarke

Second Lieutenant, Royal Army Ordnance Corps – Lieutenant, Royal electrical and Mechanical Engineers

Jack è catturato in Libia, l’8 aprile 1941. È prigioniero in Italia per due anni e mezzo prima nel PG. 17 di Rezzanello, poi presso il PG.41 di Montalbo, infine presso il PG.49 di Fontanellato, da cui fugge dopo l’8 settembre.

Jack Clarke, 1944
Fonte: Malcom Tudor, Prisoners and partisans

La possibilità di un armistizio con l’Italia fu resa nota per la prima volta ai prigionieri del campo 49 la sera dell’8 settembre 1943, intorno alle 20. Non c’erano conferme, ma sembravano esserci pochi dubbi sul fatto. Non furono prese misure particolari e i prigionieri di guerra andarono a dormire come al solito quella sera. Al mattino le guardie erano ancora nelle loro postazioni di sentinella e il Senior British Officer [Colonello Hugo de Burgh] fu informato, durante una riunione con il Comandante, che non aveva ricevuto alcun ordine dal suo quartier generale, ma che in caso di attacco al campo da parte dei tedeschi, avrebbe difeso il campo, e quindi anche i prigionieri di guerra, da tale attacco.  Tuttavia, era abbastanza ovvio che le forze a sua disposizione non sarebbero state in grado di opporre una resistenza efficace contro qualsiasi forza tedesca, e in seguito fu deciso che, nel caso in cui fossero giunte notizie di forze tedesche in avvicinamento al campo, il Comandante avrebbe permesso ai prigionieri di guerra di lasciare l’area del campo per rifugiarsi nei boschi e nei campi vicini.

L’11 settembre 1943, per ordine del Colonello De Burgh, i prigionieri del campo di Fontanellato si allontano in gruppi dalla struttura. Intorno alle 13.00 l’evacuazione è completata. I tedeschi vi giungono un paio di ore dopo. Gli evasi trascorrono la notte nei pressi del fiume, a pochi chilometri dal campo. Appare, tuttavia, presto evidente che non sarebbe stato possibile mantenere in un’unica compagine i circa 600 militari fuggiti; si decide quindi di dividere i soldati in piccoli gruppi. Alcuni ex prigionieri, tra cui lo stesso Jack, si offrono volontari per andare a lavorare in una delle fattorie del circondario, una soluzione che però non soddisfa né lui né il suo compagno, il soldato cipriota Costas Jacovides.

Si rivolgono allora a Bianca Galati di Fontanellato (Parma), che in precedenza ha portato loro del cibo e che li ospita per qualche giorno a Fontanellato, presso la propria abitazione.

Per ragioni di sicurezza si spostano nelle settimane a seguire in una fattoria a Cannetolo (Parma), presso la famiglia Gotti. I tedeschi hanno intanto iniziato ad affiggere manifesti con cui offrono ricompense a chiunque avesse consegnato un prigioniero di guerra, minacciando pene considerevoli per chi fosse stato sorpreso a ospitarne uno: «Nonostante tali avvertimenti gli italiani, per quanto ne so, non consegnarono nessuno di noi»

Jack e Costas si trattengono presso Cannetolo dal 16 al 27 settembre, dando una mano nel lavoro dei campi. Le condizioni sono buone: hanno cibo a sufficienza e dormono in un letto confortevole, per la famiglia che li ospita diventano Gianni (Jack) e Mario (Costas).

A partire dal 20 settembre, tuttavia, i tedeschi iniziano a compiere delle retate in alcuni casolari che danno rifugio a prigionieri, compiendo numerosi arresti. Jack e il suo compagno si trovano a dover riconsiderare la loro permanenza in zona.

Avremmo potuto rimanere per un tempo indefinito, ma mi sembrava ovvio che le forze britanniche non avrebbero avuto una avanzata rapida.  Mi sembrava quindi che si dovesse fare qualcosa. Jacovides era favorevole a restare e ad aspettare l’arrivo degli inglesi.  Nel peggiore dei casi disse che sarebbe stata una questione di un mese o due. Io pensavo a circa tre-sei mesi, troppi per aspettare. In realtà la 5ª Armata arrivò poi alla fine dell’aprile  1945, quasi 20 mesi dopo.

Costas decide di restare, mentre Jack preferisce partire: si uniscono a lui Marcus Kane Burman, dell’African Medical Corps, dentista presso il campo di Fontanellato e il suo aiutante AB. McLean.

I tre compagni partono da Cannetolo alle 5 del mattino del 28 settembre 1943 con l’obiettivo di dirigersi a Nord, verso la Svizzera. Attraversano la via Emilia senza particolari problemi e raggiungono Costamezzana (Parma), trovando rifugio presso una fattoria della zona in cui possono asciugare i loro vestiti bagnati dalla pioggia e dormire nella stalla.

Ogni giorno si spostano in una località diversa: presso Pellegrino Parmense incontrano David Eraskine, John Dean e Gaston Vian  tutti provenienti da Fontanellato e in viaggio verso nord.

A Morfasso (Piacenza), dove arrivano alla fine della settimana, decidono di cambiare destinazione: il nuovo obiettivo è quello di raggiungere le linee britanniche, non più di recarsi in Svizzera

La prima pagina del resoconto di Jack Clarke
Fonte: J.Clarke account, MSMT

Il viaggio verso sud ha inizio il 2 ottobre e sebbene siano dispiaciuti nel dover tornare sui propri passi, sentono che si tratta della scelta giusta. Nei giorni a seguire si spostano a Péssola (Parma) dopo aver attraversato il fiume Ceno: qui vengono invitati a casa del parroco per ascoltare alla radio il notiziario delle 9:00. Le notizie non sono rassicuranti dal momento che gli alleati avanzano con estrema lentezza.

Durante il loro tragitto trovano sempre qualche famiglia disposta ad offrire loro cibo e riparo, spesso in cambio di una estrazione di denti.

Kane Burman ha pagato ancora una volta con l’estrazione di un paio di denti, questa volta a un bambino. Tutte queste estrazioni di denti dovevano ovviamente essere fatte senza alcun tipo di anestesia ed erano piuttosto spiacevoli, non solo per le vittime, ma anche per noi che aiutavamo e ascoltavamo le loro urla.

Sabato 9 ottobre raggiungono Gazzano (Reggio Emilia) in compagnia di altri quattro prigionieri evasi da Fontanellato. Si trattengono in zona qualche giorno in più per riposare e sistemare l’equipaggiamento. 

Il 12 ottobre valicano le montagne dell’Appennino guidati da una famiglia con due muli che torna a casa per la stagione invernale.

Il viaggio dei tre compagni lungo la dorsale appenninica, ormai coperta dalla neve, continua per altri 38 giorni. Nel mese di novembre il gruppo raggiunge Villa Santa Maria (Chieti), dove incontra altri due soldati provenienti da Fontanellato, insieme si dirigono verso Frattura (frazione di Scanno, L’Aquila), le cui alture sovrastano il fiume Sangro e le forze alleate ivi dislocate.

Il 19 novembre, mentre si preparano a ricongiungersi alle loro truppe, Jack e i suoi due compagni vengono sorpresi e ricatturati da una pattuglia tedesca. Nei giorni a seguire sono trasferiti nel Lazio, nei pressi di Frosinone. Il 30 novembre vengono caricati su un treno con destinazione Germania: Jack, insieme a molti altri, decide che proverà a fuggire.

Avevano sottratto ai tedeschi nel campo di Frosinone un’ascia, nascosta e portata nel treno. Dopo la partenza la parete è stata parzialmente tagliata. La prima notte, tuttavia, (3-4 dicembre) il treno è rimasto fermo nella stazione di Roma per tutta la notte e non è stato possibile fuggire. La notte successiva è partito all’1:30 circa e il lavoro di scavo è stato immediatamente completato.  Poco prima delle 2:00 sono riuscito a fuggire, mentre altri se ne erano già andati nei minuti precedenti. 
Subito dopo essere saltato fuori, camminai lungo i binari e mi ricongiunsi al tenente Anthony Laing, che era saltato davanti a me. Rimanemmo nascosti fino alla luce del giorno, dopodiché continuammo il nostro viaggio verso Firenze.

Il capoluogo toscano è però a 233 chilometri di distanza. I due militari trovano ospitalità presso un monastero francescano in cui sostano per qualche giorno. Giungono in seguito a Santa Brigida, nei pressi di Pontassieve, dove il tenente Laing aveva già trovato rifugio nei mesi precedenti, nel corso del suo viaggio verso sud, prima di essere ricatturato.

Il 21 dicembre sono a Firenze, ospitati dalla famiglia di industriali Valvona-Buti che, in passato, aveva già dato assistenza a oltre quattordici prigionieri. Trascorrono nella loro casa due mesi, fino a febbraio 1944.

Nel mese di gennaio, dopo aver ricevuto documenti falsi, Jack e Anthony lasciano Firenze per recarsi a Venezia, accompagnati dal comunista Angelo Salvatore. L’obiettivo è oltrepassare il confine con la Yugoslavia, prendere contatti con i partigiani sloveni e attraversare l’Adriatico via nave. Il piano, tuttavia, non si concretizza e sono costretti a tornare nuovamente Firenze.

Il 21 febbraio 1945 sono coinvolti in un nuovo tentativo di fuga, questa volta attraverso la Svizzera. Giunti a Milano partono in direzione di Laveno, sul lago Maggiore. Attraversano in traghetto il lago sbarcando a Cannobio. L’ordine è quello di bussare alla porta di un caffè e di comunicare al proprietario una parola d’ordine. Questi li avrebbe poi condotti al tramonto su di un sentiero presso la frazione di Socraggio, dove avrebbero trovato delle guide ad attenderli. Partono alle 5 del mattino del 24 febbraio 1945 raggiungendo la cima della montagna intorno alle 12. Attraversano poi la frontiera e giungo finalmente in Svizzera.

Siamo partiti all’alba. Come dei bravi uomini d’affari italiani eravamo in abiti eleganti e scarpe da città, con la valigetta in mano. Siamo saliti fino alla cima, che ci hanno assicurato essere la frontiera svizzera, dove abbiamo salutato le nostre guide. Siamo scesi allo stesso modo dall’altra parte: stavamo parlando allegramente quando una voce dietro di noi ci ha gridato “Alt”. Voltandomi ho visto un soldato tedesco con la solita uniforme grigia. Mi si è stretto il cuore. Avevamo fallito di nuovo? Ma no, era un soldato svizzero!

Il viaggio di 168 giorni di Jack e dei suoi compagni (anche Marcus Kane e McLean arriveranno sani e salvi in Svizzera) tra il tra il nord e il sud d’Italia finirà per toccare 44 diverse località. Nel dopoguerra Jack ha ricevuto per il coraggio dimostrato nei mesi di fuga una Mention in Despatches[1]; Marcus Kane Burman è stato insignito della MBE (The Most Excellent Order of the British Empire) per la sua attività sanitaria in favore dei suoi compagni di prigionia.

 

Fonti

 


Note:

[1] Un soldato “menzionato nei dispacci” è un militare il cui nome appare nei rapporti ufficiali scritti da un ufficiale superiore che vengono poi inviati ai più altri comandi; del soldato viene descritta l’azione valorosa e meritoria di fronte al nemico