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Hugh Mainwaring

Prima della guerra, il tenente colonnello Hugh Salsbury Kynaston Mainwaring era un intermediario finanziario. Viene catturato ad un posto di blocco allestito da forze tedesche della 90a divisione leggera a Mersah Matruh, sulla costa mediterranea dell’Egitto il 7 novembre 1942, durante le prime fasi dell’avanzata britannica dopo la seconda vittoriosa battaglia di El-Alamein. È immediatamente trasferito a Sidi Barrani, in Libia, e quindi a Tobruk, dove passa la notte. Il giorno seguente viene portato in aereo a Brindisi e quindi al campo 75, il campo di transito di Torre Tresca (Bari), dove rimane fino al 30 novembre quando, insieme a 33 ufficiali, viene trasferito al campo 38 di Villa Ascensione (Poppi, Firenze), dove rimane internato per sei mesi[1].

Mainwaring giunge dunque al campo 49 di Fontanellato (Parma) il 30 maggio 1943. Il campo ospita ufficiali prigionieri organizzati dal Senior British Officer (SBO), il tenente colonnello Hugh de Burgh, un energico ufficiale di artiglieria. Al suo arrivo, de Burgh aveva trovato gli altri prigionieri in uno stato di mollezza e apatia che non lo soddisfacevano affatto. Aveva perciò deciso di organizzarli in compagnie e plotoni, con i rispettivi comandanti, in modo da esser pronti ad ogni evenienza[2].Mainwaring, dopo il suo arrivo, entra nello “staff” di de Burgh, che lo nomina responsabile delle emergenze, vale a dire l’invasione alleata della penisola o il tentativo tedesco di portare i prigionieri in Germania.

Gestivamo il campo con due staff differenti – uno sotto il comando dello SBO e del suo aiutante per la normale organizzazione, e lo staff per le emergenze diretto da me e il G.2. Nel caso di un’emergenza il campo si doveva organizzare in una compagnia quartier generale, formata da tutti gli specialisti, quattro compagnie ordinarie, e una compagnia di attendenti. Le compagnie erano inoltre organizzate in plotoni e sezioni[3].

I rapporti tra de Burgh e il comandante italiano del campo, il colonnello Eugenio Vicedomini rimangono sempre buoni. Sembra che Vicedomini, che aveva combattuto con le truppe inglesi dopo Caporetto nella Prima guerra mondiale, goda in generale della fiducia dei prigionieri che lo considerano «un vero gentiluomo»[4].
Ed è proprio Vicedomini a informare de Burgh dell’avvenuto armistizio tra l’Italia e gli alleati l’8 settembre 1943. Mainwaring è presente ad un incontro tra il comandante del campo e il SBO intorno alle 22, in cui Vicedomini e de Burgh hanno «una discussione franca»: «ci disse che la situazione era assolutamente oscura. Aveva sentito di scontri tra italiani e tedeschi a Parma e Piacenza e che il quartier generale da cui dipendeva a Parma era stato attaccato e le comunicazioni tagliate.» I suoi ordini sono di resistere ai tedeschi, una direttiva che il colonnello interpreta non solo come la difesa passiva del campo, ma anche come il favorire la fuga in massa dei prigionieri nel caso i tedeschi arrivino per trasportarli in Germania.

Ci chiese ce il campo fosse organizzato e pronto ad un’emergenza. Gli fu detto che lo era. Ci disse quindi che se i tedeschi si fossero presentati con orza troppo vaste per la sua piccola guarnigione e le armi a sua disposizione, aveva deciso di lasciare scappare i prigionieri, e ci avrebbe richiamati al campo se avesse considerato ciò nei nostri interessi. Aggiunse anche che aveva inviato una pattuglia sulle strade tra Parma e Piacenza, la quale ci avrebbe avvisato dell’arrivo dei tedeschi con un’ora di anticipo secondo le sue stime[5].

La piantina del campo di Fontanellato

La notte, anche se tesa, trascorre senza intoppi. Vicedomini si presenta di nuovo il giorno seguente, alle sette e mezza, annunciando che la situazione «si era deteriorata». Mainwaring viene scelto per una ricognizione all’esterno del campo, con l’obiettivo di individuare un luogo in cui la massa dei prigionieri potesse nascondersi. Considerato il numero degli internati, (540 secondo Mainwaring, ma quasi certamente il numero si aggirava intorno ai 620[6]) non è un compito facile. Vicedomini gli fornsce una mappa e lo indirizza nella zona che ritiene più adatta. Mainwaring riusce così ad individuare un boschetto molto fitto, che cresce sulle sponde di un torrente (il Rovacchia), a sei miglia (9,6Km) di distanza dal campo. L’ufficiale torna per fare rapporto verso mezzogiorno e: «nel giro di dieci minuti l’allarme fu fatto suonare, la recinzione tagliata e tutti i prigionieri, organizzati come ho già detto, lasciarono il campo in direzione del fiume. […] Tutti uscirono, inclusi i malati e chi aveva le gambe rotte. Chi non poteva camminare fu issato in groppa a dei pony»[7]. Quando i tedeschi arrivano, mezz’ora dopo, trovano il campo vuoto, tranne che per il comandante Vicedomini che rimane solo ad affrontare la loro ira. I tedeschi saccheggiano l’edificio[8] e deportao Vicedomini, che morirà poi nel 1946 per le conseguenze della sua durissima prigionia[9].

Nel frattempo, il gruppo dei prigionieri ha raggiunto il suo nascondiglio, guidati da Mainwaring e dall’interprete del campo il capitano Mario Camino, dove rimangono cercando di non farsi notare il 9 e il 10 settembre. Anche se, poco dopo il loro arrivo, la popolazione locale inizia a fargli visita, portando viveri e vestiario[10]. Infine, nella notte dell’10, de Burgh decide che le acque si sono calmate abbastanza per iniziare a muovere i suoi uomini. Le compagnie vengono disperse lungo il Rovacchia e due vengono mosse dieci Km verso sud, nell’ottica di far loro attraversare la pianura per poi raggiungere le alture dell’Appennino in direzione La Spezia. Si spera infatti in quei giorni che gli alleati possano effettuare uno sbarco in Liguria e quella appare quindi la direttiva più favorevole per la fuga. La notte successiva vengono dispersi gli uomini rimasti e solo una ventina rimasero nel boschetto, tra cui Mainwaring stesso[11].

È solo quando anche de Burgh decide di partire, seguendo Camino verso Torino (dove quest’ultimo risiedeva), che Mainwaring si muove anche lui dal nascondiglio. Il suo gruppo è composto da tre ufficiali: Mainwaring, il tenente Lascaris (greco) e il tenente Blanchard (belga). I tre ottengono abiti civili dalle fattorie vicine e si mettono in marcia con il poco cibo che avevano «una lattina di manzo, una lattina di polpettone, e una lattina di biscotti in tutto». Il loro piano è di dirigersi verso sud, e ricongiungersi all’ottava armata britannica nella zona di Foggia. Nonostante l’aiuto che forniscono loro i contadini vicino al Rovacchia, la diffidenza di Mainwaring nei confronti degli italiani è ancora alta: «dovevamo fronteggiare il pericolo di essere catturati dai tedeschi e di essere arrestati dalle autorità italiane. I tedeschi hanno messo una taglia di 2600 lire (20 sterline[12]) a chi fosse in grado di rivelare la posizione di prigionieri britannici [fuggiaschi].» I tre decidono quindi di farsi passare per soldati italiani sbandati che stanno tentando di tornare a casa nel mezzogiorno. Si pone, però, il problema della lingua: «il tenente Lascaris parla un italiano fluente. Il tenente Blanchard lo parla bene. Io lo parlo male e qualsiasi cosa avessi detto avrebbe rivelato immediatamente la mia identità e probabilmente quella degli altri.» È dunque necessario inventare una storia che funga da copertura:

Eravamo tre soldati italiani (io facevo parte dei corpi di lavoro) che erano stati arruolati di leva e mancavano da casa da quattro anni. Quando l’armistizio era stato annunciato ci trovavamo a Zagabria (Jugoslavia). Salimmo su un treno per Trieste che fu perquisito dai tedeschi alla ricerca di italiani. Ci fu una sparatoria e con altri fummo presi prigionieri per essere deportati in Germania. Questo fu troppo per me ed ebbi un esaurimento nervoso, i cui sintomi furono un silenzio completo fatta eccezione per qualche parola balbettata sulla mia famiglia ai miei amici: non parlavo con gli sconosciuti. Dopo due giorni di prigionia a Trieste eravamo riusciti a fuggire e avevamo deciso di compiere il resto del viaggio a piedi[13].

Questa storia ha anche il pregio di spiegare perché i tre non si servono di un treno per arrivare al sud, visto che nel caos di quei giorni si può salire su un vagone senza biglietto e senza controlli. È necessario però un piccolo ritocco al personaggio interpretato da Blanchard mentre procedono verso sud:

L’accento del tenente Blanchard negli ultimi periodi non veniva considerato come meridionale. Questo fu spiegato nella sua storia: aveva vissuto in Egitto e altrove per gli ultimi venti anni e aveva lavorato come cameriere. Perciò aveva sviluppato un accento italo-egiziano[14].

Nella loro marcia, i tre possono godere dell’ospitalità della popolazione, che consiste nel fornire loro cibo e riparo. «Il cibo consisteva in pane, un uovo ogni tanto, un pezzetto di formaggio, e il permesso di prendere frutta e pomodori dai campi. Quando lo chiedemmo ci diedero rifugio per la notte in depositi, granai, stalle, ecc.» Il gruppo marcia senza interruzioni, tenendosi lontano dalle strade, avvicinandosi alle fattorie solo dopo il tramonto e ripartendo sempre prima dell’alba. «Camminavamo tutto il giorno, senza mia fermarci a riposare per più di una mezz’ora nello stesso posto.» Inizialmente, i tre si incamminano seguendo la Via Emilia, fino a raggiungere la costa a Cesenatico. Soltanto in questa occasione decidono di rivelare di essere prigionieri alleati in fuga al parroco, nel tentativo di procurarsi una barca e rendere così più agevole il loro tragitto verso sud. Sono suoi ospiti per trentasei ore, ma infine i tre decidono di ripartire accantonando l’idea della barca, perché il parroco stesso li informa del fatto che i carabinieri del posto probabilmente sono stati informati della loro presenza. Prima di lasciarli partire, però,  fornsce loro una carta stradale del sud Italia, cosa che, dice Mainwaring, è loro di grande aiuto nel viaggio (rimangono, però, privi di una bussola).

Il viaggio dura circa un mese, e il terzetto riesce a passare il fronte (che nel frattempo si era cristallizzato sulla linea Gustav) solo il 13 ottobre 1943, entrando in contatto con il King’s own Yorkshire Light Infantry (Koyli). Mainwaring conosce il maggiore di brigata del reggimento, il maggiore de Butts, che organizza per loro il trasporto al quartier generale del XIII Corps, dove Lascaris e Blanchard si separano da Mainwaring, per essere poi portati a Taranto, mentre il tenente colonnello è portato al quartier generale della VIII armata britannica, dal generale Montgomery, nel cui staff aveva precedentemente servito in Africa[15].

Campi legati alla storia di Hugh Mainwaring

Fonti
  • TNA, WO 208/3315/3, Mainwaring, Hugh Salusbury Kynaston. Prisoners of War Section. Escape/Evasion Reports: Code MI9/SPG: 1474
  • M. Minardi, L’orizzonte del campo prigionia e fuga dal campo PG49 di Fontanellato 1943-45, Fidenza, Mattioli 1885, 2015

Note

[1] TNA, WO 208/3315/3, Mainwaring, Hugh Salusbury Kynaston. Prisoners of War Section. Escape/Evasion Reports: Code MI9/SPG: 1474.

[2] Marco Minardi, L’orizzonte del campo prigionia e fuga dal campo PG49 di Fontanellato 1943-45, Fidenza, Mattioli 1885, 2015, pp. 37-38.

[3] TNA, WO 208/3315/3.

[4] M. Minardi, L’orizzonte, cit., pp. 38-39.

[5] TNA, WO 208/3315/3.

[6] Cfr. scheda campi, 49. Fontanellato.

[7] TNA, WO 208/3315/3.

[8] Questa la versione di Mainwaring. Minardi fa però notare come anche la popolazione probabilmente prese parte al saccheggio ben prima che arrivassero i tedeschi, attratta in particolar modo dalle razioni di cibo dei pacchi della Croce Rossa. Vedi: M. Minardi, L’orizzonte, cit., pp. 63-65.

[9] M. Minardi, L’orizzonte, cit., p. 61; pp. 126-128.

[10] M. Minardi, L’orizzonte, cit., pp. 67-68.

[11] TNA, WO 208/3315/3.

[12] Circa 930 sterline.

[13] TNA, WO 208/3315/3.

[14] TNA, WO 208/3315/3.

[15] TNA, WO 208/3315/3.