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Dan Ranfurly

Thomas Daniel «Dan» Knox, VI Earl of Ranfurly

Thomas Daniel «Dan» Knox, VI Earl of Ranfurly, viene catturato il 6 aprile 1941 tra Derna e Mechili, in Cirenaica, mentre si trova al fianco del generale Philip Neame, di cui è aiutante di campo. Inizialmente, il gruppo di prigionieri viene tenuto per tre giorni in una fossa dai tedeschi, che poi spostano Dan e gli altri a Derna e li consegnano agli italiani.

Quando l’identità dei generali fu scoperta, ci fu detto che sarebbero stati mandati in Europa per via aerea immediatamente. Quella notte complottammo di prendere il controllo dell’aereo a mezz’aria. Il Generale O’Connor avrebbe preso con sé un pilota come ADC (aiutante di campo) e il Generale Neame avrebbe preso me. Immaginammo che se l’intero gruppo fosse stato caricato su un aereo, non ci sarebbe stato spazio per più di quattro guardie […]. Avevamo un revolver che era stato assicurato ad una parte molto intima del Generale O’Connor. Il mio compito era di mettere fuori combattimento una delle guardie. […] Quando arrivò l’alba un ufficiale italiano ci disse che solo i generali sarebbero partiti per via aerea. Il nostro piano era fallito.

Mentre i generali partono in aereo, gli altri prigionieri sono caricati su camion e portati a Bengasi, dove trascorsero una settimana «in condizioni terribili», con pochissimo cibo e praticamente senza acqua. «Gli italiani ci trattarono in maniera abominevole, rubavano perfino ai prigionieri. Denunciai la cosa e fui portato dall’ufficiale di giornata. Il comandante del campo inflisse ai ladri sei mesi [agli arresti] e mi diede due pacchetti di sigarette; inflisse la sentenza standosene a letto». I prigionieri raggiungono infine Tripoli, dove sono imbarcati con destinazione Napoli; «con nostra sorpresa, ci diedero cabine di prima classe e buon cibo». In Italia, Dan viene trasferito inizialmente al PG 78 di Sulmona dove trascorre «il peggior mese della mia vita». Viene quindi spostato al PG 12 di Vincigliata (Firenze), dove si ricongiunge al Generale Neame, nell’ottobre 1941. Si adatta in fretta alla vita nel campo, prendendo in mano la gestione delle pulizie e la distribuzione dei pacchi della Croce Rossa.

La sera dell’8 settembre, mentre sta giocando a bridge, Dan e gli altri prigionieri vengono informati dal comandante del campo dell’armistizio. Mentre il comandante esita sul da farsi, attendendo ordini da Firenze, i prigionieri si organizzano: «radunammo tutti i soldi presi dai nostri nascondigli e tutte le provviste e gli abiti civili che avevamo a disposizione». La tensione sale rapidamente e i prigionieri riescono a strappare al comandante una concessione: le porte saranno sprangate e una scala posta sulle mura nel retro del campo, per permetter ai prigionieri di fuggire se fossero arrivati i tedeschi.  
Il 10 settembre il generale Chiappe inviò due camion da Firenze, per spostare gli alti ufficiali in città. «Quando entrammo a Firenze la gente affollò le strade e ci salutò festante. Forse pensavano fossimo l’avanguardia delle forze britanniche». Chiappe annuncia che ha ricevuto ordine di non far cadere i generali in mano tedesca e di difendere la città.

Siccome non aveva truppe, armi, o munizioni, e c’erano due colonne tedesche a mezz’ora dalla città, l’unica cosa che potesse fare era mandarci a sud con un treno. […] Guidammo fino alla stazione, abbandonammo i nostri sacchi al binario e iniziammo a cambiarci in abiti civili. Gli italiani alla stazione pensarono che fosse un grosso scherzo […]. Sigarette e cioccolata vennero barattate per cappelli e cappotti.

La loro prima tappa è Arezzo, dove il comandante italiano del luogo non sa cosa fare: «dopo un’ora o più di discussioni inutili un ufficiale entrò nella stanza e disse che il prefetto della polizia fascista era lì fuori. Il comandante per poco non morì di spavento. Prima che potessimo fare qualcosa il prefetto entrò. Disse che sapeva chi fossimo. Ci fu un silenzio imbarazzato e quindi disse che era venuto ad aiutarci». I prigionieri si nascondono fino al tramonto, quando vengono portati con dei camion in un vicino monastero a Camaldoli (Arezzo) e accolti dai monaci benedettini. Ben presto, i fuggiaschi capiscono che l’avanzata alleata si è impantanata e decidono quindi di addentrarsi più in profondità egli Appennini, per evitare di essere ricatturati.

Il 14 settembre Dan e altri prigionieri, guidati da uno dei monaci, Don Leone «che aveva una barba imponente e occhi brillanti e portava nella sua sacca una fiasca del vino più forte [che abbia mai visto», si incamminano verso l’Emillia-Romagna. Il cibo però scarseggia e il gruppo deve presto disperdersi. Dan e il Generale Neame si fermano nel villaggio di «Segatina» (Seghetina) (Arezzo), dove la popolazione vive in completa povertà, accolti dalla famiglia Rossi. I tedeschi però sono in zona e la paura della popolazione spinge Dan e i prigionieri che vivono nel villaggio a spostarsi nei boschi, dove costruiscono una baracca. Infine, quando una pattuglia arriva proprio nel villaggio il 29 settembre, decidono di ripartire. Il gruppo arriva a Rio Salso (Cesena), dove ricevono un messaggio: è pronto un piano per far fuggire i generali via mare. Neame, O’Connor e Boyd, quindi, lasciano Dan e gli altri ufficiali nel villaggio.

Dan vive a Rio Salso per quattro mesi, spesso nel granaio di Nereo Bertazzoni, o nella casa della sua vicina.

I Bertazzoni furono sempre buoni con me. Mi nutrirono sempre. Quando il cibo scarseggiava, Teresa mi dava una porzione doppia perché diceva che ero grande il doppio di loro. Spesso non c’era nulla da mangiare. Una volta uccise un gatto, che ci mangiammo con gran piacere. La pelle fu venduta per cento lire. […] La mia vita si intrecciò con la routine del villaggio. […] Impercettibilmente, ci trovammo nella morsa dell’inverno. Cadde la neve e non fu più possibile attraversare i passi montani. Ci sistemammo e aspettammo la primavera. Il tempo sembrò fermarsi.

Le attività della locale banda partigiana, però, allarmano i tedeschi, che inviano delle truppe per annientarla. «Qualcuno avvisò i partigiani di abbandonare la provincia, ma nessuno avvisò noi». La notte del 29 gennaio 1944, Dan viene svegliato di soprassalto, la cucina della sua ospite, al piano di sotto, è gremita di tedeschi. Tenta di fuggire, ma ci sono soldati ad ogni angolo. Alla fine, torna a letto, «dove la mia altezza si sarebbe notata meno». Grazie al coraggio e al sangue freddo della donna che lo ospita e delle sue tre figlie, Dan scampa alla cattura. Il giorno dopo, insieme a Rudolph Vaughan, si riempie le tasche di pane e si inerpica su una cresta da cui può osservare la zona. Per tutto il giorno i tedeschi setacciano il villaggio, ma con scarsi risultati: riescono a catturare solo due prigionieri prima di andarsene. Durante la notte, Dan e Rudolph tornano a Rio Salso.

Solo in marzo il tempo permette ai fuggiaschi di ripartire verso sud. Dan forma un gruppo con i suoi compagni di fuga Rudolph, John Combe, Ted Todhunter, Guy Ruggles-Brise e due ex-prigionieri che vivevano con i partigiani locali, l’irlandese John Kerin e l’americano Jack Reiter. Appena partiti, sono investiti da una tormenta di neve e devono sostare nel villaggio di Santa Sofia (Cesena) per una settimana. Ripartono il 12 marzo. Il gruppo ha appuntamento con degli agenti alleati il 18, ma la distanza sembra eccessiva. Il gruppo si divide così in due: «in un gruppo in forma e un altro non in forma, sperando che il primo riuscisse a contattare gli agenti e chiedesse loro di aspettare gli altri. Io ero nel gruppo non in forma». Il viaggio è terribile: il terreno è aspro e ancora innevato. Tuttavia, alla fine «il 18 arrivammo al punto di incontro due ore prima del gruppo in forma».
Non è ancora finita: devono percorrere le ultime 32 miglia (51 Km). Finalmente, due giorni dopo, arrivano al secondo punto d’incontro. Qui trovano una camionetta ad attenderli che li porta attraverso la Val Tenna. «Passando per i villaggi fummo sicuramente riconosciuti dalla gente che si affacciava dalle finestre. Tuttavia, nessuno fece commenti: il popolo italiano era avvezzo a questi affari sotterranei da molto tempo». Il piano è di incontrarsi ad una spiaggia con una motosilurante, per essere portati al sud. Nelle successive sei settimane, Dan e i suoi compagni si fanno trovare alla spiaggia «otto o nove volte».

A volte sentivamo i potenti motori di una motosilurante ma non sembrò che dal mare vedessero mai i nostri segnali. A volte, quando meno desideravamo essere illuminati, la RAF sganciava razzi sul ponte del Tenna, che sembrava essere un loro obiettivo specifico in quel periodo. Fischiettavamo la canzone tedesca ‘Lili Marlene’ per riconoscerci al buio. Ogni volta eravamo delusi e dovevamo rifare tutto il rischioso viaggio da capo.

In quel periodo, i fuggiaschi entrano in contatto con Roger Cagnazzo «un ebreo e l’uomo più valoroso che abbia mai incontrato». Cagnazzo aveva fatto passare le linee a Neame e gli altri generali e ora intendeva fare lo stesso con Dan e i suoi compagni. Il gruppo decide quindi di procurarsi con ogni mezzo una barca. Siccome la pesca nella zona è impossibile, per via della guerra, non hanno difficoltà a trovarne una abbandonata sulla spiaggia.

Ci spostammo in una casa vicino al ponte del Tenna dove vivevano il vecchio conte e la contessa di Salvadore. La contessa aveva già passato due anni in un campo di concentramento per le sue simpatie verso gli Alleati, ma niente la scoraggiava, ci fece state tutti da lei mentre preparavamo la barca.

 

La notte del 10 maggio il gruppo si mette in moto:

Mettemmo l’albero in posizione e poi il timone. Ma quando fu il momento di muovere la barca, questa non si smosse. Per mezz’ora sudammo e tirammo e spingemmo. Piano piano, la luna iniziò a sorgere. Piano piano, un pollice alla volta, iniziammo a spostarla. Infine, la portammo in mare. Galleggiava. Spiegammo le vele e prendemmo una brezza costante ma scoprimmo che la barca era impermeabile come un colino. […] Iniziammo a svuotare [la barca dall’acqua]. Il vento rinfrescò e prese forza. Tutti si sentirono male. L‘acqua ci arrivava sopra le caviglie, lavorammo come diavoli per svuotare la barca. Poi l’albero si spezzò e finì di traverso. Dopo una mezz’ora di sudore e imprecazioni lo rimettemmo a posto.

All’alba il vento cessa e i fuggiaschi iniziano a remare. Dalla posizione dei monti, che ora vedono, capiscono di essere esattamente sulla linea del fronte. Finalmente, vengono individuati da alcuni pescherecci, tratti in salvo e portati a Ortona. Dan è finalmente libero, dopo tre anni in Italia.

Campi legati a questa storia

Fonti