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Donald I. Jones

«Fortune favours the bold»
Donal I. Jones
Donald (sinistra) e Geoff a Sulmona, 1943

Donald è catturato a Tobruk, in Libia, il 21 giugno 1942, assieme al compagno e amico Geoff Dunn. Dopo una prima prigionia a Bengasi, la successiva traversata in nave fino a Brindisi, un passaggio presso il PG 66 di Capua e «sei settimane di sofferenze a Benevento»[1], nell’ottobre 1942 viene trasferito in Abruzzo, presso il PG 78: «situato a circa cinque miglia da Sulmona, in una piccola frazione chiamata Fonte D’Amore: bel nome per un campo di prigionia!»

Quando l’8 settembre 1943 il Generale Badoglio annuncia la resa, l’Ufficiale britannico più anziano dà ordine che nessuno lasci il campo, certo dell’imminente arrivo delle truppe alleate. Alcuni giorni più tardi, però, in seguito all’avvistamento nei pressi del campo di un motociclista tedesco, viene presa la decisione di evacuare la struttura, con la raccomandazione che i prigionieri rimangano compatti e non si allontanino troppo.

La fuga interessa oltre 2.000 uomini: anche Donald vi prende parte, rifugiandosi tra i boschi sulle montagne circostanti. Ma è una libertà che dura poco: i tedeschi, infatti, hanno nel frattempo occupato il campo e si adoperano per ricatturare i prigionieri dispersi in zona.

 

Arrivammo al campo cinque ore dopo. Girava voce che i tedeschi avessero lanciato paracadutisti sulla cima della montagna. Ad aspettarmi c’era Geoff, che era stato ripreso il primo giorno di libertà nei pressi del campo. In un certo senso eravamo contenti di rivederci, anche se pensavamo che la prossima volta avremmo fatto meglio!

PG 78 di Sulmona

Arrabbiato per essere di nuovo dietro al filo spinato e infastidito dalla generale apatia degli altri prigionieri, Donald, assieme a Geoff e al sergente Joe Vickers, decide di offrirsi volontario per partecipare alle operazioni di perlustrazione dei dintorni del campo organizzate dai tedeschi alla ricerca di prigionieri dispersi: la speranza è che possa presentarsi una buona opportunità di fuga.

Non appena fummo tanto lontani da non essere uditi dal resto del gruppo, neutralizzammo la guardia. Ricordo di avergli afferrato le gambe e che egli oppose una certa resistenza. Il soldato fu immobilizzato con la corda del pacco della Croce Rossa che avevamo con noi. Mi piacerebbe dire che continuammo il cammino con calma, ma la verità è che corremmo il più velocemente possibile, fino a restare senza fiato. Alle due raggiungemmo la cima del Monte Morrone. Qui ci sentimmo finalmente al sicuro.

 

Per alcune settimane, Donald e i suoi compagni, assieme ad altri prigionieri rifugiatisi in zona, scelgono di non allontanarsi dal Monte Morrone, convinti che le truppe alleate li avrebbero presto raggiunti.

In quei giorni molti italiani ci fecero visita e la domenica la nostra sentinella ci avvertì che due persone stavano risalendo il sentiero portando qualcosa sulla testa. Riconoscemmo delle donne che portavano pentole piene di “gnocchi”, un piatto italiano fatto con farina e polenta, pesante come il piombo sia da digerire che da portare. Più tardi scoprimmo che ci volevano cinque ore per salire dal villaggio, e senza portare pesi sulla testa. Ci fece molto piacere la visita di queste donne, che meno di due settimane prima erano nostre nemiche.

 

Donald ricostruisce nella mappa il suo percorso verso la libertà

Qualche giorno più tardi si trasferiscono nel piccolo villaggio di Salle ospitati e sfamati dalla gente del posto: il parroco Don Oliviero, la signora Eramina che pur poverissima e con tre bimbi denutriti, li sfama e li veste, Marinello che accetta di fare da guida attraverso le montagne affinché alcuni del gruppo, impazienti di muoversi, possano oltrepassare le linee. La presenza dei fuggitivi in paese non passa però inosservata, inizia a circolare voce della presenza di alcune spie e ben presto arrivano anche le prime pattuglie tedesche che terrorizzano la popolazione. Donald e i suoi compagni devono presto rimettersi in cammino, prendendo nuovamente la via della montagna.

Il 13 novembre aveva nevicato. Decidemmo di scendere a valle, attraversare il fiume tra Salle Nuova e Salle Vecchia, costeggiare il paese di Caramanico e risalire la montagna nel lontano versante attraverso un sentiero che potevamo vedere dal rifugio. Questa montagna era chiamata Maiella e supponeva che se l’avessimo percorsa lungo la cima, verso sud, avremmo raggiunto le linee alleate che, si diceva si stessero avvicinando al fiume Sangro, che scorreva a meno di 10 miglia da dove eravamo.

 

Sferzati dal vento, disorientati dalla neve che cade copiosa, senza più provviste, braccati dai tedeschi di stanza nella zona, Dan e Geoff, decidono di non proseguire e di cercare ospitalità presso «l’igloo in pietra a forma circolare» del commerciante di cavalli

Antonio, originario del vicino paese di Rapino. Casa di Antonio, un personaggio dai molti traffici, è crocevia di prigionieri che lui stesso rifocilla e smista presso altre sistemazioni nella zona.

Era il 17 novembre 1943 quando iniziammo a vivere nella grotta che ci aveva indicato Antonio. Eravamo stati informati che gli alleati avevano raggiunto il fiume Sangro. Potevamo vedere il bombardamento che avveniva in quella direzione. Sapevamo poco e non ci rendevamo neppure conto che la linea tedesca Gustav, una posizione difensiva approntata dai tedeschi con l’aiuto degli italiani, fosse lì nei dintorni. Solo dopo la guerra apprendemmo che la nostra unità di artiglieria faceva parte dell’VIII armata che fronteggiava i tedeschi tra Orsogna e Guardiagrele. Il giorno dopo Antonio venne nella grotta con altri cinque prigionieri che aveva accettato di sfamare. Fummo contenti della loro compagnia.

 

Con il passare dei giorni la permanenza nella grotta si fa sempre più difficile: l’ambiente è gelido e, in seguito all’intensificarsi della presenza tedesca in zona, anche la possibilità di ricevere cibo diventa sempre più scarsa. Tre dei sette prigionieri scelgono presto di allontanarsi. Donald e Geoff, debilitato da una infezione a un piede, rimangono in compagnia dei londinesi Len Smith ed Edward Johnson (Swim).

Il Natale del 1943 si prospettava senza allegria per noi quattro, nella grotta sulla Maiella. Un pasto natalizio non era nemmeno pensabile, ma era pure necessario trovare da mangiare. Così Len ed io ci avviammo per tentare la fortuna. Il Natale in Italia non è festeggiato allo stesso modo che in Inghilterra, ma è comunque una festa. Molti dei contadini che incontrammo, pur se comprensibilmente spaventati, ci offrirono molti bicchieri di vino e alle tre del pomeriggio eravamo riusciti a riempire le nostre sacche di viveri. Mendicare del cibo non è l’idea che io avevo per trascorrere al meglio il Natale.

 

 

Castelvecchio Calvisio (L’Aquila)

In seguito all’ennesima nevicata che allaga la grotta, il gruppo stabilisce di muoversi. Len, senza più stivali, ormai consumati dall’usura, preferisce non partire. Swim comunica invece che vuole dirigersi a nord, in Svizzera, dove ha alcuni amici. Donald e Geoff si uniscono a lui. Ben presto, tuttavia, Geoff, azzoppato dalla brutta infezione, è costretto ad abbandonare i compagni e a riconsegnarsi ai tedeschi per essere curato. I due amici si separano con dispiacere.

Donald e Swim proseguono assieme. Si dirigono verso le cime del Gran Sasso. È la vigilia del Capodanno 1943, quando arrivano a Castelvecchio Calvisio, un piccolo villaggio situato a oltre mille metri di altezza. L’intera comunità si mobilita per aiutarli.

Credo che Sant’Antonio avesse messo una buona parola per noi: stava nevicando e con il vento che soffiava violento era impossibile continuare il viaggio, così ci rallegrammo quando la proprietaria di una stalla, Gina, che aveva sei figli e un marito prigioniero in Inghilterra, ci disse che potevamo restare lì fino al momento in cui il tempo si fosse rasserenato […] Molte famiglie facevano a gara per portarci da mangiare e per invitarci ad andare a casa loro la sera […].

[…] Una mattina venne una donna con qualcosa per rimpiazzare la mia giacca che cadeva letteralmente a pezzi, portando via la mia per ripararla: dopo dieci giorni ci trasferimmo nella sua stalla, che si trovava sotto la stanza da pranzo di Gina. Il suo nome suonava come “mamouch”, cosi la chiamammo Mamma. Poteva forse avere quarantacinque anni. Mi ricordava quelle streghe di Macbeth: non aveva denti ed era alta e dritta.  Non ho mai incontrato una persona gentile come lei e molti Pow hanno motivo di esserle grati per la sua assistenza.

[…] In quelle settimane, la mia idea degli italiani come un popolo di scansafatiche svanì nel vedere quanto lavoravano sodo i contadini, e in particolare le donne, nelle campagne. In tempo di pace questi contadini si guadagnavano a mala pena da vivere. Essi grattavano letteralmente la vita dalla terra. Quando i figli crescevano, non essendoci abbastanza lavoro per tutti, dovevano emigrare.

Negli ultimi giorni di gennaio la neve inizia a sciogliersi. Donald e Swim si convincono che è arrivato il momento di riprendere il viaggio verso la Svizzera. Lasciano Castelvecchio, nonostante la gente del paese cerchi di convincerli a restare. Il progetto è quello di dirigersi verso la costa adriatica per evitare la neve. Lungo la strada che collega Penne ad Ofena scelgono però di dividersi: Donald, infatti, vorrebbe percorrere percorsi meno trafficati, nel timore di essere preda delle pattuglie tedesche che transitano in zona, Swim insiste invece nel voler proseguire lungo la via principale, più comoda da percorrere.

Decidono, quindi, ciascuno seguendo il percorso scelto, di rincontrarsi più avanti, in corrispondenza di alcune case. Si perdono però rapidamente di vista e Swim non si presenta all’appuntamento. Donald scoprirà che è stato fatto salire su un camion tedesco in transito sulla via.

Non avevo mai avuto fino ad allora un’esperienza simile: trovarmi solo in territorio nemico. Stare in compagnia infonde sempre un certo coraggio e il tempo non fece nulla per risollevare il mio stato d’animo. Un vento violento mi sferzava il viso, cominciò anche a diluviare. L’alternativa era proseguire verso nord o tornare a Castelvecchio. Mi resi conto che avrei fatto meglio a trovare un riparo. Non avevo bisogno di un termometro per sapere che avevo la febbre, mi faceva male la testa e ben presto mi venne una tosse tremenda.

Dopo aver trascorso venti giorni nella casa di Benito e Maria Fusco, che lo rifocillano e curano, Donald decide di tornare a Castelvecchio da Mamma e dalle altre famiglie che lo hanno ospitato. L’accoglienza è calorosa. Circolano, tuttavia, voci di possibili incursioni tedesche in paese, come è accaduto già nei villaggi limitrofi. È opportuno quindi che Donald si allontani. Mamma si offre ancora una volta di aiutarlo, proponendogli un nascondiglio in un casolare della famiglia, sito nella frazione di Cervano, presso Capestrano. Donald accetta e segue Mamma e la figlia Giovannina nella nuova sistemazione. Viene alloggiato nella stalla: rimane nascosto di giorno ed esce di sera per raggiungere le due donne e cenare assieme a loro.

Trascorrono così alcune settimane di relativa tranquillità. Dopo la Pasqua, però, il ferimento di alcuni tedeschi per mano di un prigioniero inglese rifugiatosi in zona, scatena una vera caccia all’uomo. Donald capisce che è arrivato il momento di andare via.

Mamma era ancora disposta a provvedere al mio sostentamento. Sentivo che non era giusto nei loro confronti rischiare di farsi catturare proprio nella loro casa, sapendo che i tedeschi sarebbero stati spietati. Cosi, il 22 marzo, finì il periodo più piacevole della mia semilibertà e mi riproposi, per ricordare quella mia felice permanenza a Cervano, di mettere una targa su una delle case del paese quando fossi tornato dopo la guerra.

Lasciai Cervano la mattina seguente, senza alcun piano se non quello di allontanarmi dalla zona.

 

D. I. Jones, Escape from Sulmona, Vintage Press, New York, 1980

Dopo un passaggio presso Campo Imperatore, presso l’albergo che aveva ospitato Mussolini prigioniero, un nuovo ritorno a Castelvecchio Calvisio, pericolosi incontri ravvicinati con i tedeschi che lo scambiano per un italiano, la condivisione di grotte e anfratti con altri prigionieri che incrocia nel suo cammino, Donald sente che la sua libertà è ormai a un bivio: deve ricongiungersi il prima possibile alle truppe alleate o finirà presto prigioniero in Germania. La primavera è alle porte, la sua fuga dura ormai da nove mesi.

In cammino verso la costa, giunge nella zona di Palena, ma si accorge, procedendo, di essere finito in un campo minato.

Che sfortuna: evitare la cattura per nove mesi e saltare in aria prima di vedere la libertà! Dicono: «La fortuna aiuta gli audaci». Aiuta anche gli spericolati, i pazzi e gli incoscienti. Io ero in una di queste categorie.

Aspettai fino al pomeriggio prima di decidermi a procedere carponi verso il sentiero. Barcollai un po’, felice di ritrovarmi tutto intero Davanti vedevo la pianura che si allungava fino all’Adriatico. Camminai in direzione sud. Dopo circa un’ora vidi un gruppo di carri armati. Era dunque mutata la mia buona sorte? Indossavo un mantello verde da pastore sopra i pantaloni strappati e, come mi avvicinai, all’accampamento apparve una sentinella: era inglese. Ero preoccupato perché mi puntava contro il suo fucile. Solo l’arrivo di un ufficiale lo convinse che non ero un imbroglione. Una settimana dopo, ero a bordo di una nave diretta in Inghilterra.

Negli anni successivi Donald è tornato alla vita civile divenendo direttore di una compagnia finanziaria. Nel 1947 ha fatto ritorno a Castelvecchio con la moglie, per ringraziare e salutare quanti lo avevano aiutato.

È stato testimone di nozze delle due figlie di Gina, Armida e Zina, sposatesi a Leeds con due inglesi.

Mamma e Giovannina si sono trasferite negli Stati Uniti, per ricongiungersi ai rispettivi mariti, Donald le ha incontrate nel 1972.

Campi legati a questa storia

Bibliografia
  • R. Absalom, A Strange Alliance. Aspects of escape and survival in Italy 1943-45, Firenze, Olschki, 1991 (trad. it. L’alleanza inattesa. Mondo contadino e prigionieri alleati in fuga in Italia (1943-1945), Bologna, Pendagron, 2011);
  • D. I. Jones, Escape From Sulmona, Vintage Press, New York, 1980 (trad. It. Fuga da Sulmona, [a cura di] Liceo scientifico statale E. Fermi di Sulmona, Torre dei Nolfi , Qualevita, 2002).
Risorse online

 


Note

[1] Si tratta del PG 87, campo attendato di Cardoncelli (BN) chiuso nel novembre 1942.