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PG 70 - Monturano

Autore/i della scheda: Costantino Di Sante

Dati sul campo

Comune: Fermo

Provincia: Fermo

Regione: Marche

Ubicazione: Molini di Tenna - Fermo

Tipologia campo: concentramento

Numero convenzionale: 70

Numero di posta militare: 3300

Campo per: sottufficiali – truppa

Giuristizione territoriale: IX Corpo d’Armata

Scalo ferroviario: Monturano

Sistemazione: accantonamento

Capacità: 8000

In funzione: da 19/08/1942 al 15/09/1943

Comando/gestione del campo: Col. Enrico Papa

Cronologia:
10 luglio 1942: iniziano i lavori di adeguamento dei capannoni del linificio in campo per prigionieri di guerra
19 agosto 1942: il campo entra ufficialmente in funzione con l’arrivo dei primi prigionieri
Novembre 1942: diverse centinaia di prigionieri sono trasferiti dal campo n. 60 di Colle Compito (LU)
3 gennaio 1943: arrivo di 500 prigionieri dal disciolto campo n. 68 di Vetralla (VT)
8 marzo 1943: un prigioniero inglese, il caporale Henry Heyes, viene ucciso da una sentinella durante il tentativo di fuga
Settembre 1943: gran parte dei prigionieri rimangono nel campo e saranno deportati dai tedeschi

Presenza dei prigionieri alleati nel campo di Fermo

Data Generali Ufficiali Sottufficiali Truppa TOT
1.9.1942   2 137 1235 1374
30.9.1942   5 181 1443 1629
31.10.1942   9 263 2063 2335
30.11.1942   8 378 3729 4115
31.12.1942   8 566 5192 5766
31.1.1943   8 578 5644 6230
28.2.1943   8 691 6615 7314
30.4.1943   5 641 5936 6582
31.5.1943   6 819 6087 6912
30.6.1943   5 830 6158 6993
31.8.1943   13 847 7478 8338
 

Storia del campo

Il campo di Moturano fu istituito nell’estate del 1942 nella frazione Molini del Tenna nel comune di Fermo. La struttura, all’epoca in provincia di Ascoli Piceno oggi di Fermo, fu realizzata riadattando i fabbricati di un linificio costruito nel 1938 dalla Società Anonima Agricola Industriale del Lino di Milano. Il fabbricato si trovava nei pressi della stazione ferroviaria Monturano-Rapagnano della linea Porto San Giorgio-Amandola, per questo fu identificato con il nome di «Campo Monte Urano».
Nel luglio del 1942 il linificio fu requisito dallo Stato Maggiore dell’esercito e subito dopo i capannoni perimetrali, che allora erano aperti ai lati, furono chiusi per essere utilizzati come dormitori. Gli spazi furono adattati alle nuove necessità: spazi per prigioni, per guardie, per servizi vari. Diviso in due settori ben distinti e separati da filo spinato: uno dove alloggiare il comando, il corpo di guardia e i sevizi per le truppe nazionali; l’altro dove sistemare i prigionieri di guerra. Per evitare possibili fughe, si sopraelevarono le mura di cinta e alle sommità furono installate delle siepi di filo spinato. Si allestirono le cucine, l’infermeria, le latrine e i lavatoi. Il corpo di guardia fu composto da soldati del Corpo d’Armata o che non erano stati inviati al fronte perché ritenuti fisicamente non idonei, integrati da un piccolo nucleo di carabinieri e da alcuni interpreti. Con l’arrivo di altri prigionieri, nell’agosto del 1943, il numero delle guardie raggiunse le 563 unità tra sottufficiali e truppa, parte dei quali erano anche reduci dai fronti di guerra. Nel settore destinato ai soldati nazionali la mensa è divisa tra ufficiali e truppa, c’è un’infermeria, un lavatoio e i bagni sono ben distinti da quelli per i prigionieri e spiritualmente sono assistiti dal cappellano militare cattolico di Fermo, il tenente don Mario Scoponi.
Il 19 agosto del 1942, anche se la struttura non è ancora stata completata, arrivano i primi prigionieri. Si tratta di soldati britannici che, in gran parte, dopo essere stati internati in alcuni campi di transito in Libia, sono stati trasportati via mare nella Penisola per essere poi smistati nei campi di concentramento metropolitani.
Alla fine dell’anno il campo ospita quasi seimila prigionieri, sono in gran parte inglesi, ma non mancano alcune decine di neozelandesi e di irlandesi, tre canadesi e due palestinesi oltre a un centinaio di sudafricani bianchi che nelle statistiche dell’epoca sono ben distinti da quelli di colore. Le presenze nel campo aumentano costantemente fino a superare le 7000 unità nel marzo del 1943. Nei due mesi seguenti il numero scende dopo che alcune centinaia di prigionieri vengono trasferiti al nord per essere impiegati al lavoro. La struttura torna a ripopolarsi in luglio dopo lo sbarco alleato in Sicilia e la dismissione di alcuni campi del meridione. Prima dell’armistizio il campo ospita 8.338 prigionieri britannici (di cui 13 ufficiali 847 sottufficiali) In questo periodo il PG70 raggiungere la sua capienza massima. Il sovraffollamento, dei quattro recinti interni in cui è divisa la parte del campo destinata ai prigionieri di guerra, rende più complicata la vita degli internati.
Quali furono le condizioni di vita dei prigionieri nei capannoni dell’ex linificio, lo possiamo desumere dalle relazioni della Croce rossa e da quelle dell’Ufficio prigionieri di guerra dello Stato maggiore dell’esercito. Da queste relazioni sappiamo che i prigionieri dormono nei capannoni ben illuminati, ma non riscaldati, in brande di legno disposte a doppie e triple file con pagliericci, lenzuola e due coperte per ogni prigioniero. Il vitto, confezionato direttamente dai soldati, inizialmente è scarso, ma in seguito sarà arricchito dagli ortaggi e dalla frutta coltivata nell’orto che gli stessi prigionieri curano nel terreno messo a loro disposizione. Ma ad integrare la dieta saranno soprattutto i pacchi di cibo inviati dalla Croce rossa. La distribuzione dei pacchi e lo smistamento della posta sono i momenti più attesi dai prigionieri. Per rendere meno opprimente lo stato di cattività, viene allestito un teatro dove rappresentare spettacoli e far esibire l’orchestra composta dagli stessi prigionieri. Le attività culturali e di intrattenimento vengono pubblicizzate in una bacheca comune o tramite il giornale, curato dai soldati inglesi, The Seventy Time (la settantesima volta). Molto frequentata è anche la biblioteca del campo.
Oltre che nelle attività di svago, alcuni prigionieri sono occupati in diversi lavori. Circa cinquanta inglesi vengono impiegati subito dopo il loro arrivo nella costruzione del campo e, come previsto dalla Convezione di Ginevra che stabiliva le norme su come dovevano essere trattati i prigionieri, ricevono un compenso a seconda della loro qualifica e sono assicurati contro gli infortuni. Quelli impiegati in lavori di servizio anche in favore dei propri compagni, svolgono attività di: aiuto cuochi, calzolai e parrucchieri. Altri lavorano nella falegnameria, nel rimessaggio della legna o si occupano dei magazzini dei viveri e del casermaggio. Piccoli gruppi di prigionieri sono utilizzati anche per i lavori agricoli all’esterno del campo.
I lavori svolti consentono ai prigionieri di ottenere una paga supplementare e di combattere la noia e le angosce procurate dalla vita dentro i reticolati.
A rendere meno accettabili le condizioni di vita dei prigionieri è la cronica mancanza d’acqua, alla quale il direttore cercherà di porre rimedio con la costruzione di un nuovo serbatoio che non entrerà mai pienamente in funzione. Durante l’inverno molti internati rimangono con l’abbigliamento estivo che avevano addosso durante la cattura. La carenza di vestiario adatto a fronteggiare le rigide temperature invernali, i capannoni non riscaldati provoca un forte aumento di malattie infettive e dell’apparato respiratorio. Dal settembre 1942 al maggio 1943, a causa della scarsa dieta, con l’infermeria nei primi mesi non ancora terminata e per il freddo, nel campo si registrano ben 45 decessi. Il sovraffollamento e la mancata profilassi portano anche il diffondersi della scabbia, di malattie della pelle e al proliferare di pulci e pidocchi. A prendersi cura dei malati sono cinque ufficiali medici coordinati da un dottore italiano. Mentre l’assistenza spirituale è assicurata da tre cappellani inglesi.
Come in tutti i campi non mancano i tentativi di fuga. Uno dei primi viene subito scoperto dalle guardie mentre due prigionieri cercano di uscire dal campo nascondendosi dentro un veicolo. Il 17 dicembre 1942 viene ferito il prigioniero John Jones mentre tenta di superare le recinzioni, mentre l’8 febbraio 1943 un altro tentativo di fuga si conclude tragicamente con l’uccisione, da parte di una sentinella, di uno dei fuggitivi. Nel maggio del 1943 un prigioniero inglese, Jack Robinson, si suicida recidendosi la carotide. Altri tentativi di organizzare delle fughe, attraverso la costruzione di tunnel, vengono scoperti e i responsabili puniti con la segregazione in camere di sicurezza mentre gli altri prigionieri sono costretti a subire lunghi ed estenuanti appelli.
Dopo l’8 settembre I soldati britannici, confortati dai loro superiori, rimangono tra i reticolati sperando di essere presto liberati dalle truppe alleate. Questa possibilità viene definitivamente a cadere perché dopo pochi giorni il campo è occupato dai tedeschi. Approfittando della confusione circa duemila prigionieri riescono a fuggire, mentre almeno in seimila sono deportati nei lager in Germania.
Sotto la giurisdizione del comando militare germanico e con la collaborazione della federazione fascista repubblicana di Ascoli Piceno, il PG 70 continuerà a funzionare per l’internamento dei prigionieri ripresi nella zona fino a novembre successivo.
Subito dopo la liberazione del territorio fermano, sotto la sigla «Centro Raccolta e smistamento profughi di Fermo», l’ex linificio sarà riutilizzato prima dall’Alto Commissariato per i profughi di guerra e poi dai militari inglesi. Rinominato «campo per profughi stranieri di Fermo» sotto la sigla IT89, le autorità alleate vi faranno affluire oltre 2000 profughi jugoslavi, per la maggior parte ustascia croati, ultranazionalisti fascisti. In questo periodo sarà realizzata la «Cappella dei croati». L’affresco, raffigurante la madonna sopra lo scudo a scacchi bianchi e rossi della Croazia, è ancora presente all’interno di uno dei capannoni.
Nell’estate del 1947 la struttura passerà sotto la gestione dell’International Refugeé Organisation e sarà rinominato «Centro raccolta profughi stranieri» e contrassegnato dal numero 8. Nell’inverno seguente nel Centro si verrà a creare una singolare situazione: circa 500 ebrei, quasi tutti sopravvissuti alle persecuzioni nazifasciste, dovettero convivere con oltre mille ustascia alcuni dei quali si erano macchiati di crimini di guerra. Dopo il ricollocamento degli stranieri nel’ex campo 70 sarà utilizzato per circa due anni soprattutto per ospitare i profughi italiani provenienti dal Confine orientale. Dopo la sistemazione degli ultimi ospiti, il 23 aprile 1950 il Centro sarà definitivamente chiuso.
Con la riconsegna dei fabbricati alla proprietà, la Società Linificio Canapificio Nazionale di Milano (SLCN), per circa cinque anni i capannoni furono utilizzati per ammassare soprattutto il grano raccolto dagli agricoltori nel territorio circostante. Nel 1955 l’ex linificio fu venduto alla Società Conciaria Marchigiana (SA.CO.MAR.). La conceria fu chiusa nel 2003 perché ormai non più in grado di far fronte alla concorrenza straniera e l’intera area venne acquistata nel 2006 dall'Adriatica Spa.
Nel 2016 l’Amministrazione Comunale di Fermo e l’associazione «Oltre Conceria», coinvolgendo le scuole cittadine, decideranno di realizzare il progetto «La memoria viva dell’ex conceria» realizzando un documentario, uno spettacolo teatrale e un murales.
Dopo un lungo periodo di abbandono, nell’ottobre 2021 è stato approvato un progetto di riqualificazione dell’area che prevede anche la salvaguardia e la valorizzazione dei segni di memoria ancora presenti dell’ex campo n. 70.

Fonti archivistiche

Bibliografia

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