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Arthur Wallace Scott

Lance Corporal, 24 New Zealand Infantry Battalion

Arthur (Arch) Scott, giovane caporale neozelandese, si arruola con il desiderio di diventare un buon soldato. Nel dicembre 1941, alla sua prima missione in Egitto, è però fatto prigioniero nei pressi di El Alamein.

Dopo il passaggio attraverso vari campi in Libia e una permanenza di circa tre settimane a Bengasi, il 16 agosto 1942 viene imbarcato sulla “Nino Bixio”, nave cargo diretta in Italia la cui traversata è interrotta durante il secondo giorno di navigazione a causa di un siluro che colpisce l’imbarcazione uccidendo quasi tutti gli uomini a bordo. Arch è uno dei pochi sopravvissuti.

Alla fine di agosto giunge a Bari, presso il PG. 75 e qualche settimana più tardi è nuovamente in viaggio, questa volta verso il PG. 107 di Torviscosa (Udine), dove sono alloggiati molti dei prigionieri neozelandesi.

Arch Scott nel 1941 alla vigilia della partenza per la guerra (Fonte: L. Antonel, I silenzi della guerra)

Per combattere la monotonia quotidiana, inizia a immaginare possibili piani di fuga e a studiare l’italiano. Verso la fine di giugno 1943 fa parte di un gruppo di cinquanta militari trasferito presso il campo di lavoro PG.107/7 a La Salute di Livenza (distaccamento del campo di Torviscosa). Qui, grazie alla conoscenza della lingua, diviene l’interprete del gruppo e viene esonerato dal lavoro nei campi.

Quando giunge la notizia dell’armistizio, l’8 settembre, i cancelli della struttura vengono aperti, il filo spinato tagliato e i prigionieri liberati.

Eravamo “liberi” eppure ci trovavamo tra nemici. Eravamo liberi si, ma potevamo paragonarci a degli animali indifesi che erano stati liberati in una vasta area ricca di predatori […]. Con una taglia sulle nostre teste imparammo ben presto che cosa significasse essere “cacciati”.

Nei giorni che seguono la fuga, il gruppo di ex prigionieri decide di non dividersi e di rimanere in zona, approfittando della benevolenza delle famiglie contadine del posto, con cui Arch, sopranominato “il capitano inglese”, fa da intermediario, essendo l’unico a parlare l’italiano. Stringe presto amicizia con don Antonio Andreazza, parroco di Sant’Anastasio di Cessalto, “dentro fino al collo nei comitati di liberazione”, con cui perfeziona la conoscenza della lingua e che gli fornisce due carte d’identità false: diventa per tutti Arturo Scotti

Una delle carte d’identità false che don Antonio fornisce ad Arch.
(Fonte: L. Antonel, I silenzi della guerra)

Già durante il loro primo incontro Don Antonio e Arch iniziano a organizzare una serie di piani di evacuazione dei prigionieri presenti in zona. Nell’ottobre 1943, questi compie cinque viaggi per accompagnare una cinquantina di uomini sopra le colline intorno a Monfalcone, dove alcuni partigiani sono impegnati nell’evacuare per mare dalla Croazia i militari alleati in fuga (scopre invece che questi vengono obbligati a unirsi alle bande partigiane locali e non invece riconsegnati agli inglesi). Si impegna, inoltre, in molteplici tentativi di contattare l’Inghilterra via radio e con l’aiuto delle sorelle Martini a Padova riesce a organizzare un’evacuazione di massa che, tuttavia, si conclude con la ricattura di tutti i fuggitivi.

Arch si integra perfettamente nella comunità locale: il suo dialetto veneto è impeccabile e numerosi sono gli episodi in cui, pur trovandosi fianco a fianco con tedeschi finisce per essere scambiato per un italiano.

Dopo alcuni mesi di permanenza presso la casa di Don Antonio, una soffiata porta all’arresto di alcuni prigionieri presenti in paese e dei loro coadiuvanti, Arch è trasferito presso la famiglia Visintin, nella cui soffitta trascorre circa tre settimane.

 

La famiglia Visintin mi trattò benissimo. Trascorrevo gran parte del mio tempo studiando la lingua, leggendo e ammirando dalla finestra della soffitta i bellissimi campi coltivati.

La zona non è però sicura e Arch e Noel Sims, un altro neozelandese, devono nuovamente cambiare nascondiglio, trascorrendo una decina di giorni presso l’atrio della scuola di San Anastasio, dove il sacrestano di don Antonio porta loro regolarmente da mangiare. Nei giorni a seguire il parroco prende contatti con una famiglia di mezzadri la cui casa è situata dalla parte opposta del fiume Livenza. Dall’aprile 1944 all’aprile 1945 gli Antonel -tre fratelli con le rispettive mogli e dieci figli – diventano la nuova famiglia di Arch e Noel.

Pensavamo che saremmo rimasti con loro solo per un breve periodo, ma poiché le cose si protrassero per molto tempo, dovemmo rimanere lì o nei dintorni per più di un anno. […] La famiglia Antonel viveva in una grande casa di mattoni a due piani. […] Attorno alla tavola, in occasione della cena, c’era posto a sedere per tutti o quasi, le mogli infatti solo raramente si sedevano dovendo badare ai bisogni del resto della famiglia.
Adiacente alla casa c’era la stalla, che nelle serate invernali diventava “il salotto” dove si riuniva l’intera famiglia: le donne e le ragazze a lavorare a maglia, a filare e a cucire, gli uomini e i ragazzi a chiacchierare e a raccontare i fatti accaduti durante la giornata.
[…] Dagli Antonel fu il primo posto in cui fummo a stretto contatto con dei bambini, che presto imparammo ad amare. Ci furono di grande aiuto per farci migliorare la conoscenza dell’italiano o piuttosto del dialetto veneziano. I più grandi frequentavano la scuola elementare del paese e un giorno, quando chiesi ad Angin se era stato promosso, mi rispose in maniera negativa, dandomi anche la spiegazione più naturale e sensata della sua bocciatura: “Non ho portato la gallina alla maestra!”.

Arch è uno dei prigionieri della zona più ricercati -con una taglia di un milione di lire sulla testa-. Tra ottobre e novembre 1944 compie frequenti viaggi in Friuli e nella zona di Belluno, con l’obiettivo di organizzare l’evacuazione di altri soldati presenti nell’area.

Nel febbraio 1945 entra in contatto con la missione Albatross dei servizi segreti americani (OSS) guidata dal capitano Chappell, che riesce a predisporre un piano di evacuazione efficace. Compito di Arch è quello di radunare i prigionieri in gruppi di dodici-quindici uomini poi guidati su una spiaggia, in un punto prestabilito, e assieme a loro attendere l’imbarcazione che deve portarli al largo. Si tratta di un’impresa particolarmente complessa, dal momento che spesso il mezzo non riesce a raggiungere la costa e gli uomini in attesa sono costretti a tornare frettolosamente presso i loro nascondigli.

Con questo sistema– nelle notti senza luna –  Arch riesce a mettere in salvo quarantasette soldati in fuga; rifiuta più volte di unirsi ai gruppi in partenza, desideroso di portare avanti il suo compito fino alla partenza di tutti i suoi compagni.

Durante la permanenza a San Stino, Scott rimane in contatto con i partigiani, in particolare con il loro capo Gino Panont “Treviso”.

Gino era colui che conoscevo meglio di tutti. […] Sebbene avesse già molti impegni e non fosse direttamente coinvolto con i nostri tentativi di fuga. Potevamo comunque contare su di lui affinché ci fornisse degli uomini come scorte, oppure utilizzavamo la sua esperienza per risolvere delle questioni apparentemente irrisolvibili.

Il 13 aprile 1945 anche Arch si unisce a una delle ultime evacuazioni via mare, raggiungendo Ancona, dove viene assegnato all’Ufficio dei Servizi Strategici americani. Ottiene poi il permesso di ritornare nel settentrione per combattere a fianco dei partigiani. Il piano che deve paracadutarlo, tuttavia, fallisce e Arch decide di tornare comunque a Nord seguendo l’avanzata alleata. In quelle settimane raggiunge  San Stino di Livenza per salutare le famiglie che lo avevano accolto tanto calorosamente.

Dopo la Liberazione, nell’aprile 1945, si trasferisce a Portogruaro dove il Governo Militare Alleato lo nomina vice-governatore militare per le aree di Portogruaro, San Donà di Piave e San Stino di Livenza. Quando il governatore militare ufficiale, tenente Harold Lavender, prende il suo posto, Scott rimane per un periodo al suo fianco come interprete e assistente.

Ben presto giunge l’ordine che tutti gli ex prigionieri di guerra neozelandesi dovevano essere rimpatriati via Inghilterra. Il 27 giugno ricevetti l’ordine di presentarmi al quartier generale per la fine del mese.

Arch non vuole andar via dall’Italia e tenta di ottenere dalle autorità alleate il permesso per rimanere, senza tuttavia riuscirci. Alla fine di giugno ‘45 transitando da Roma viene trasferito in Inghilterra, dove sosta circa tre mesi. Nel novembre ‘45 è imbarcato con destinazione Nuova Zelanda, vi giungerà prima del Natale.

Dopo la guerra Arch Scott è tornato in Italia tre volte, nel 1966, nel 1981 e nel 1983 in compagnia della moglie e dei figli.

La mia famiglia si è commossa parecchie volte, praticamente ogni volta che incontravo casualmente dei vecchi amici italiani che con le lacrime che scendevano sulle gote mi abbracciavano e piangevano apertamente, senza provare vergogna e senza pronunciare parola alcuna che non fosse “ Arturo! Arturo! Arturo!”

Campi legati a questa storia

Fonti
  • Roger Absalom, A Strange Alliance. Aspects of escape and survival in Italy 1943-45, Firenze, Olschki, 1991 (trad. it., L’alleanza inattesa. Mondo contadino e prigionieri alleati in fuga in Italia 1943-1945, Bologna, Pendagron, 2011).
  • Lucia Antonel, I silenzi della guerra: prigionieri di guerra alleati e contadini nel Veneto orientale, 1943-1945, Portogruaro, Nuova Dimensione – Ediciclo, 1995.
  • Arch Scott, Dark of the moon, [s.l.], Cresset, 2000.