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PG 57 - Grupignano

Autore/i della scheda: Isabella Insolvibile

Dati sul campo

Comune: Premariacco

Provincia: Udine

Regione: Friuli-Venezia Giulia

Ubicazione: Grupignano - Premariacco

Tipologia campo: concentramento

Numero convenzionale: 57

Numero di posta militare: 3200

Campo per: sottufficiali – truppa

Giuristizione territoriale: Difesa Territoriale Udine

Scalo ferroviario: Cividale del Friuli

Sistemazione: baraccamento

Capacità: 4500 posti di cui 22 per ufficiali

In funzione: da 11/1941 al 08/09/1943

Comando/gestione del campo: Ten. Col., poi Col. Vittorio Emanuele Calcaterra

Cronologia:
Novembre 1941: i prigionieri alleati sono destinati al campo. Dopo poco tempo protestano per la rasatura dei capelli
7-8 febbraio 1942: il prigioniero A- Birdwood Wright muore per le ferite ricevute durante un tentativo di fuga
Ottobre 1942: tentata evasione di 19 prigionieri, subito ricatturati
Dicembre 1942: sequestro degli strumenti musicali
4 dicembre 1942: il prigioniero Richardson viene ferito dalle sentinelle
20 maggio 1943: uccisione del caporale Edward Symons
8 luglio 1943: uccisione del prigioniero K.W.S. Adams in un apparente tentativo di fuga
8 settembre 1943: occupazione tedesca del campo e cattura dei prigionieri

Presenza dei prigionieri alleati nel campo di Premariacco

Data Generali Ufficiali Sottufficiali Truppa TOT
1.3.1942   3 124 1434 1561
1.4.1942   3 124 1449 1576
1.5.1942   2 123 1437 1562
1.6.1942   3 118 1433 1554
1.7.1942   20 114 1413 1547
1.8.1942   4 111 1495 1610
1.9.1942   4 105 1464 1573
30.9.1942   5 216 2230 2451
31.10.1942   4 343 2622 2969
30.11.1942   5 518 3041 3564
31.12.1942   5 593 3986 4584
31.1.1943   5 470 4050 4525
28.2.1943   5 473 4061 4539
31.3.1943   5 482 3955 4442
30.4.1943   3 483 2933 3419
31.5.1943   3 494 2318 2815
30.6.1943   3 502 2332 2837
31.8.1943   5 572 3556 4133

Storia del campo

Il campo di Grupignano, nel comune di Premieracco, è uno dei principali siti di concentramento italiani. Attivo fin dal maggio 1941 e per gli alleati dal novembre successivo, è costituito da baracche di legno, ampie cucine, spaccio e infermeria. La fornitura di acqua è garantita da un vicino acquedotto, e dunque i prigionieri possono fare docce regolari. Vi sono anche locali adatti alle operazioni di disinfezione, sebbene non tutti gli impianti risultino perfettamente adeguati o funzionanti. Manca anche il legname, e quindi il riscaldamento. Tuttavia, il problema principale dei prigionieri rinchiusi a Grupignano è l’atteggiamento dei detentori nei loro confronti, in particolare del comandante Vittorio Emanuele Calcaterra, ufficiale dei carabinieri. Calcaterra è tra i pochi comandanti di campo italiani che mantengono il controllo della struttura per tutto il tempo del suo funzionamento; è, anche, uno dei comandanti peggiori, e difatti il suo nome sarà, nel dopoguerra, tra i più ricorrenti nelle liste dei war criminals.
Dal punto di vista strutturale, anche a Grupignano le stagioni e il clima hanno un peso determinante sulla qualità della vita dei prigionieri, che non hanno scorte di vestiario, né di medicinali o attrezzature. Mancano, in particolare il chinino e gli antimalarici in genere. La malattia imperversa, così come i malanni legati al freddo e all’umidità nei mesi invernali, che provocano numerosi decessi.
La disciplina, nel campo, è severissima. Per il dicembre 1942 i delegati della potenza protettrice registrano il sequestro di tutti gli strumenti musicali appartenenti ai prigionieri, probabilmente per punizione, e il fatto che uno di loro – il caporale A.J. Richardson – è stato ferito dalle sentinelle perché, mentre cercava di raccogliere un po’ di legna in compagnia di alcuni commilitoni, è entrato in un’area del campo il cui accesso risulta vietato. A quanto pare, Richardson non ha obbedito all’ordine di allontanarsi e dunque le guardie gli hanno sparato al petto. Questo, nella versione italiana della storia; secondo il soldato, invece, gli italiani gli hanno sparato più volte, prima e dopo averlo fermato. Il carabiniere responsabile viene ricompensato con 500 lire e 30 giorni di licenza. Questo tipo di premialità, consueta nei campi italiani e di solito amministrata direttamente dal ministero della Guerra, a Grupignano è un vero e proprio sistema di comportamento che, a quanto pare, spinge le sentinelle italiane a strafare. Nel dopoguerra, un ufficiale italiano del campo testimonierà in tal senso:

Many Italian soldiers were rewarded for preventing the escape of Allied soldiers. I know that some of these PW were seriously wounded and died later […]. The rewarding of Italian soldiers was instituted by the Camp Commandant Colonel Calcaterra and by reason of this inducement, I am sure the guards and sentries were much encouraged to shoot at PW for the slightest offence in order to gain a monetary reward. [TNA, WO 311/308]


Nel campo friulano il premio va dalle 200 alle 1.000 lire e vi viene aggiunto, come si è detto, un periodo di licenza. Sono tutti elementi che, a detta di un ex prigioniero australiano, «acted as a great incentive for other guards who tried to earn a similar reward and bullets passed very freely across the compound» [TNA, WO 311/308].
Con il passare dei mesi, il logoramento delle strutture e degli impianti comincia a farsi sentire anche a Grupignano. In particolare, il campo è sovraffollato e le fogne non funzionano come dovrebbero. Molto critica è la situazione alimentare, e il sostentamento dei prigionieri si basa quasi esclusivamente sui beni contenuti nei pacchi della Croce Rossa Internazionale. Qui, però, sorge un nuovo problema perché, come si sospetta e si verificherà nel dopoguerra, il personale italiano del campo, con il benestare e forse la partecipazione diretta di Calcaterra, compie saccheggi sistematici in tali spedizioni, il cui contenuto alimenta peraltro una fiorente borsa nera. A detta di numerosi ufficiali al suo comando, più di una volta il comandante Calcaterra dispone perché i beni della Croce Rossa, trovati nascosti e accantonati dai prigionieri, siano sequestrati e rivenduti agli stessi ufficiali italiani dello staff. Si tratta di un vero e proprio sistema di gestione che riguarda anche, secondo una fonte, i pacchi dei prigionieri degenti presso l’ospedale di Udine, ai quali su ordine di Calcaterra non viene distribuito nulla con la scusa che i viveri inviati possano interferire con le cure. Per i furti dei pacchi e il maltrattamento dei prigionieri, alcuni ufficiali di Grupignano verranno condannati, nel dopoguerra, a qualche mese di prigione.
Se la disciplina è rigida e l’atteggiamento dei detentori ostile, il comportamento dei prigionieri non è assolutamente rassegnato o passivo. Uno dei primi scontri tra detentori e detenuti si verifica nel novembre del 1941, quando i secondi rifiutano di radersi i capelli a zero, e la protesta monta fino a che una ventina di loro viene posta agli arresti e rinchiusa nella baracca del campo adibita a prigione. L’opposizione dei prigionieri risponde a un motivo pratico: nel campo fa freddo, non c’è riscaldamento, e i soldati provenienti dai fronti africani non hanno neanche un equipaggiamento adatto al rigore dell’inverno friulano. C’è, poi, una ragione politica o almeno “solidaristica”: Calcaterra pretende di estendere la rasatura anche ai prigionieri di religione sikh, per i quali ciò rappresenterebbe un peccato gravissimo, e l’opposizione a essa compatta le diverse nazionalità presenti in quel momento nel campo. Tra l’altro, per tutti la pratica viene volutamente svolta in modi che risultano umilianti per chi la subisce.
Questo episodio rappresenta solo il primo di una serie di momenti di duro scontro tra lo staff di Calcaterra e i prigionieri. Questi ultimi sono spesso soggetti a punizioni spropositate e violente: ad esempio, 30 di loro, scelti uno su cinque, vengono condannati a quindici giorni di prigione, perché Calcaterra fraintende un augurio rivolto al camp leader, che sta per essere portato in isolamento dopo la protesta per il taglio dei capelli. I prigionieri salutano il csm. Cottman dicendo «Good luck to you Cotty» e Calcaterra crede che gli abbiano dato del cane. Le punizioni inflitte dal comandante sono individualie e collettive, fisiche e psicologiche. Sono spesso conseguenza di reazioni a soprusi da parte degli italiani. Ad esempio, quando il prigioniero che funge da calzolaio del campo reagisce a un tentativo di requisizione – in realtà un vero e proprio furto – di un paio di stivali che dovrebbe riparare, e il carabiniere che vuole rubarglieli cade a terra durante la colluttazione, l’uomo finisce in isolamento per un mese, con le razioni ridotte al punto da fargli perdere molto peso. A Grupignano, infatti, l’isolamento comporta la diminuzione delle razioni e lunghe ore di manette a polsi e caviglie, senza la possibilità di ricevere visite mediche. Un altro prigioniero racconterà:

8th Novembre, 1942. I was hanging out my washing on a line outside the hut while a search was being made, for which I receivd 8 days confinement in cells. The conditions of our confinement were severe in that the cell was extremely overcrowded. I do not what regulation, if any, I had offended.
13th February, 1943. I have been repatriated on account of eye trouble, and during my detention it was necessary and customary for me to wash my eyes frequently. On this day I was absent from the hut for the purpose of attending to the washing of my eye, and was sentenced to 8 days confinement in cells. I do not what regulation, if any, I had broken. The officials in this camp has a habit of punishing us for all manner of trivial or imaginary faults; the aforementioned 2 experiences are fair examples.
[TNA, TS 26/683]


Oltre a quello di Calcaterra, nome ricorrente nelle denunce dei prigionieri è quello del tenente degli alpini Otello Ronco, impiegato nello stesso campo e anch’egli responsabile di punizioni disumane. Una delle colpe dei prigionieri sui quali i detentori si concentrano maggiormente sono, come sempre, i tentativi di fuga. Per Calcaterra la possibilità delle evasioni è una vera e propria ossessione. In occasione del ferimento di Richardson, Calcaterra non ha dubbi nell’attribuire all’australiano intenti del genere e così motiva le sue conclusioni:

It is not likely that they wished, as Richardson states [il prigioniero ferito, nda], to steal wood, firstly because the risk would be too much compared with the advantage of having a few extra kilograms of fuel to burn in the stoves and secondly because the huts, and particularly the new ones in the 2nd Sector, when it is not raining are sufficiently protected from the cold and the need for extra heating is not at all felt. […] The wounded man was not carrying either food, nor objects for orientation. But these objects, as PW Pitt who escaped a few months ago and who was later recaptured, stated, these objects are on the whole an encumbrance to those who intend to join the “Partisans” whose theatre of operattions is at less than twenty kilometres from this Camp and which can easily be reached by going towards the territory of the province of Gorizia which by day can be seen by the naked eye. [TNA, WO 311/308]


L’ossessione di Calcaterra è motivata, dunque, dall’effettiva vicinanza del campo di Grupignano ai territori iugoslavi, dove la Resistenza è molto attiva fin dai primi periodi dell’occupazione italiana. Ciononostante, da parte del comandante è evidente un sentimento di ostilità nei confronti di ogni tipo di nemico che va ben oltre la contingenza bellica e ha un’evidente matrice ideologica. Il dottore italiano addetto al campo avrebbe poi riferito di aver sentito Calcaterra e alcuni suoi ufficiali pronunciare frasi come le seguenti: «These mercenaries should be shot», «I want no part of these savages who tried to conquer Italy» e «At the first interference of Yugoslav bands I will machine gun all the prisoners, no one will escape death. These men are no soldiers, but savages and bandits» [TNA, WO 311/318]. A quanto pare, sulla porta dell’ufficio del comandante, un’iscrizione recita: «Gli inglesi sono maledetti ma più maledetti sono gli italiani che li trattano bene» [TNA, WO 311/308].
Le testimonianze sul comportamento del colonnello sono numerose. Il dottor Accardo Palumbo, dentista stanziale a Grupignano tra il settembre 1942 e il settembre dell’anno successivo, lo descriverà come «a very severe natured man. His reputation for instilling discipline was outstanding both among the PW and the Italian camp staff» [TNA, WO 311/308]. Il dottor Mauroner, già citato in precedenza, parlerà di una «outmost severity, verging sometimes on inhumanity», e questo a partire dal trattamento dei malati:

Obstacles – scrive sempre Mauroner, responsabile degli affari sanitari del campo – were put daily in my way towards an efficient service. I was informed not to send any patients to hospital, only in very vital and urgent casese. I wa salso continously urged by Calcaterra do deal harshly with the prisoners and not to listen or to [illeg.] any suggestion or complaints from the two Australian Officers. My own proposals to avoid overcrowding were constantly put aside by Col. Calcaterra. In Dec. 42 a batch of 300 New Zealand prisoners arrived at the camp. They were in a complete state of emaciation and some of them were just living skeletons. I repeatdly asked in writing and by word of mouth that Red Cross parcels containing special vitamins be distribuited to these men. My request was flatly refused by Calcaterra, and at this time I know that there were at least 3.000 of these parcels stored in the camp, and supplies arrived regularly. For two weeks no parcels were distributed, and after that only partially. The result was that several of these New Zealanders fell sick and one died of bronchitis which developed acutely and which in ordinary conditions could have been cured.


Il ricovero tardivo è forse tra le cause del decesso, avvenuto nell’ottobre 1942, del prigioniero neozelandese James Wallace Henderson, di 27 anni, che muore per un’epatite acuta dopo che per giorni ha sofferto di ittero, nausea, dolori e vomito.
Un’altra responsabilità direttamente ascrivibile a Calcaterra è l’incoraggiamento del comportamento violento – una fonte parla di «bullying propensities» [TNA, WO 311/308] – dei propri sottoposti nei confronti dei prigionieri, in particolare dei carabinieri (molto meno delle sentinelle, appartenenti all’esercito, che difatti i prigionieri prediligono). Lo staff del campo è, senza distinzione, autorizzato a usare le armi – alcune fonti fanno addirittura cenno ai vietatissimi proiettili dum dum – contro i nemici detenuti, soprattutto, come si diceva, durante i tentativi di fuga. Questi ultimi non sono pochi, ma va aggiunto che gli italiani tendono a interpretare come tali qualsiasi movimento “irregolare” dei prigionieri. Ad esempio, nell’ottobre 1941 un soldato australiano viene ferito dopo che, insieme a un commilitone, si è avvicinato «eccessivamente in periodo di oscurità ai reticolati di cinta» [ACS, MI, DGPS, A5G, II GM, b. 116, f. 59] del campo. Il soldato se la cava con una lieve ferita, ma non altrettanto bene va al neozelandese Arthur Birdwood Wright che, il 7 febbraio 1942, prova effettivamente a scappare, riuscendo a tagliare alcuni pezzi di filo spinato, ma muore, il giorno dopo in ospedale, perché colpito dagli spari di una sentinella. Questo caso non suscita sospetti fino a quando, nell’immediato dopoguerra, il chirurgo italiano che, all’ospedale di Udine, ha provato a salvare il prigioniero, non dichiara che, secondo la sua «firm opinion» [TNA, WO 311/308], Wright era stato colpito mentre si trovava a terra, nell’atto di strisciare o addirittura da fermo. Tenconi ha scritto che, dopo questo episodio, Calcaterra si sarebbe vantato dichiarando che «nessun prigioniero straniero era riuscito a fuggire dall’Italia durante la Grande guerra e altrettanto sarebbe avvenuto per il conflitto in corso» [Tenconi, p. 99]. L’inchiesta aperta nel dopoguerra si risolverà in un nulla di fatto perché il soldato responsabile di aver sparato a Wright non verrà rintracciato.
Altri tentativi di fuga avvengono nei mesi successivi. Diciannove prigionieri scappano, attraverso un tunnel, nell’ottobre del 1942. Vengono tutti ricatturati il giorno dopo e puniti con 30 giorni agli arresti. L’8 luglio del 1943 muore, in un’apparente evasione, il soldato neozelandese Kenneth W.S. Adams. Tutte le fonti, italiane e britanniche, sono concordi nel sostenere che il prigioniero fosse affetto da disturbi mentali. Il caporale Bickerstaff, suo commilitone, dichiarerà: «It seemed unlikely that he was trying to escape in full possession of his faculties as the place was quite near to where one of the guards was stationed» [TNA, WO 311/308]. Il caso sarà oggetto d’indagine nel dopoguerra, risolta in un nulla di fatto.
Il comportamento del personale del campo è spesso riprovevole. Alcuni testimoni raccontano che l’ubriachezza delle guardie – solite, secondo le fonti, bere troppo ogni seconda domenica del mese, quando probabilmente giungono al campo i rifornimenti – porta al ferimento di un paio di prigionieri, nei confronti dei quali i militari sparano senza motivo. Che l’alcol circoli abbondantemente a Grupignano lo prova anche l’uccisione del caporale australiano Edward Symons, avvenuta il 20 maggio 1943. Secondo una fonte italiana, questi scaglia una bottiglia contro un carabiniere e poi gli si getta addosso; a quel punto il militare reagisce sparando e uccidendolo all’istante. Testimoni alleati riferiscono, invece, che Symons, «drunk but not obstreperous» [TNA, TS 26/95], viene tratto in arresto durante una partita di cricket, alla quale sta assistendo. Poiché si rifiuta di seguire i carabinieri, questi gli sparano, a detta di alcuni senza che egli avesse fatto nulla contro di loro, a detta di altri perché ha provato a sottrarre l’arma a uno degli italiani. A quanto pare, Symons muore sul colpo o poco dopo essere stato colpito. Con ogni probabilità le cose vanno nel modo descritto dall’AFHQ nel luglio 1945:

Symonds [sic] had been drinking and was barracking the players at the cricket match. The sentries, attracted by his shouts, went to quieten him, but Symonds, who was probably not in the mood to tolerate interference from the Italians, argued and got to his feet; two of his friends took hold of him and tried to pacify him but he continued to argue. Whether or not he actually broke away from them and made for the sentry is not clear: at any rate the sentry, either deliberately or in frightened self-defence, shot him at close range. [TNA, WO 311/315]


All’epoca dei fatti, il carabiniere Marinello Sodini viene ricompensato, su iniziativa di Calcaterra, con un premio di 200 lire. Nel dopoguerra verrà invece giudicato colpevole e condannato a morte, con pena commutata in ergastolo perché il suo gesto sarà ritenuto non premeditato. Recluso a Procida, uscirà di galera a metà degli anni Cinquanta.
Dopo l’8 settembre Calcaterra si comporta in modo coerente rispetto all’atteggiamento adottato in tutto il periodo in cui ha comandato Grupignano: non permette ai prigionieri di allontanarsi dal campo e li consegna ai tedeschi. Absalom scrive che

secondo un testimone oculare, [i prigionieri] «furono portati via come ladri», costretti a marciare fino alla stazione ferroviaria […] sotto l’arrogante supervisione di un manipolo di soldati tedeschi in sidecar, con l’avvertimento che chiunque si fosse fermato sarebbe stato fucilato sul posto. Una situazione in netto contrasto con quella trovata dai prigionieri al loro arrivo al campo, allorché erano stati scortati da una colonna di soldati italiani disposti a una distanza di tre metri l’uno dall’altro. In questo caso, invece, «tre tedeschi facevano il lavoro di trecento italiani». [Absalom, pp. 351-352]


Alcune fonti attestano che Calcaterra, dopo essersi impadronito dei pacchi della Croce Rossa arrivati nell’ultimo periodo per i prigionieri, abbia preso il comando del fascio di Cividale. Non arriverà al processo: i partigiani lo giustizieranno alla fine dell’agosto 1944, a Castagnole Lanze (AT).
Il campo di Grupignano viene velocemente smantellato dagli abitanti del posto che si impadroniscono dei vari materiali. Resta, a testimonianza del passato, la chiesetta dei prigionieri, recuperata e restaurata negli anni Novanta del secolo scorso. Su una delle sue pareti è stata affissa una lapide in ricordo dei prigionieri alleati deceduti, nell’agosto 1942, nell’affondamento della Nino Bixio, che li trasportava in Italia.
Presso la chiesetta del campo si tengono raduni di associazioni d’arma, durante i quali si commemorano anche i prigionieri alleati, in una singolare riappacificazione postbellica tra detentori e detenuti.

Fonti archivistiche

Bibliografia

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