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George Ernest Evans

Royal Regiment of Artillery

George si arruola come volontario nel 1940 presso il Royal Regiment of Artillery a Skipton nello Yorkshire, ha 24 anni. È di professione macellaio e, dopo un periodo di addestramento come cuoco, viene aggregato al 4th Durham Survey Regiment. In seguito è imbarcato sul transatlantico Reina del Pacifico con destinazione Medio Oriente.

Presta servizio in Egitto, nella zona del deserto occidentale e in Libia; è infine trasferito a Tobruk, dove è fatto prigioniero nel luglio 1942. Trasportato presso un campo di prigionia a Bengasi, di cui lamenta le pessime condizioni, contrae la dissenteria. Il 16 novembre 1942 giunge in Italia, in un non ben identificato campo [probabilmente il PG.70 di Monturano] nei pressi di Porto San Giorgio, nelle Marche. Si tratta di un deciso un miglioramento rispetto alla precedente prigionia nel deserto: fin da subito i nuovi arrivati ricevono pacchi della Croce Rossa con supplementi di cibo. Nell’inverno del 1942 subisce il congelamento di un piede per cui rimane a lungo convalescente.

Si riprende nel maggio 1943 e decide di partire volontario per il PG. 106 di Vercelli nel Nord Italia, per lavorare nelle risaie della pianura padana. Vi rimane fino all’8 settembre 1943.

La sera dell’ 8 settembre, quando tornammo al campo, la guardia ci disse che la guerra tra Inghilterra e Italia era finita e che eravamo tutti amici. Naturalmente eravamo scioccati e, sebbene le guardie del campo si fossero allontanate, il comandante rimase. Andammo in dormitorio per riflettere sul da farsi. Per prima cosa recitammo all’unisono il Padre Nostro e ringraziammo Dio per la nostra liberazione. Abbiamo esaminato la situazione e abbiamo deciso di fuggire piuttosto che rimanere.

Durante la notte i prigionieri tagliano il filo spinato dal cancello e George, assieme agli altri dodici membri della sua squadra, abbandona il campo. I fuggitivi stabiliscono di recarsi presso il casolare in cui fino ad allora hanno lavorano quotidianamente e nel cui fienile trascorrono la prima notte di libertà. Si offrono inoltre di continuare a prestare servizio in attesa degli sviluppi della situazione.

Rimangono nella fattoria per circa una settimana, fino a quando le truppe tedesche giungono nella zona alla ricerca di prigionieri evasi. Occorre pensare a cosa fare: «Io non avevo alcuna intenzione di tornare a essere un prigioniero di guerra».

George, assieme a Maurice Brown, Joseph Dryhurst e Patrick Meehan decide di mettersi in viaggio verso le colline pedemontane nella zona di Biella. Lungo il tragitto il cibo non manca e la popolazione si dimostra ben disponibile a offrire loro qualcosa da mangiare. Preferiscono, tuttavia, non accettare ospitalità per la notte poiché temono di mettere in pericolo gli aiutanti.

Aerei tedeschi ci sorvolavano quotidianamente, lanciando volantini che ci chiedevano di arrenderci e di vivere comodamente nei campi di prigionia tedeschi. Offrivano, inoltre, una ricompensa di 1200 lire a qualsiasi civile avesse contribuito all’arresto di un PoW.

Il proposito è quello di attraversare il confine con la Svizzera: a tal scopo i quattro si dirigono verso il santuario di Oropa, a oltre mille metri di altezza, dove un gruppo di prigionieri di guerra si sta organizzando per compiere la traversata. George, tuttavia, teme che il suo stato di salute cagionevole e la mancanza di equipaggiamento possano costituire un ostacolo troppo grande per un viaggio tanto impegnativo. Insieme ai suoi compagni decide così di tornare più in basso, sistemandosi nella valle a nord di Biella assieme a un gruppo di ex prigionieri australiani con cui condivide un alloggio di fortuna. Con l’arrivo dell’inverno e del clima rigido il gruppo sceglie di separarsi.

Continuammo a vagare e sebbene con l’aiuto dei civili le cose andassero molto bene, sapevo che questo modo di vivere non poteva continuare. Le notizie che volevamo sentire erano quelle dello sbarco degli Alleati e di una rapida avanzata con il crollo della resistenza tedesca, ma non era così. Prendemmo contatto con un civile che ci indirizzò verso un luogo remoto, Trivero (oggi Valdilana), a nord di Biella, dove entrammo in contatto con un gruppo di sei ebrei che avevano sofferto per mano del regime fascista e che ora stavano cercando di formare un movimento di resistenza (partigiani).

I partigiani si dimostrano assai disponibili, offrono loro del cibo e illustrano cosa stanno cercando di fare[1]. L’organizzazione accetta di buon grado il fatto che George sia il capo della compagnia di inglesi e lui si dimostra d’accordo nell’unirsi al gruppo, anche perché ciò sembra garantire loro una maggiore stabilità. La banda è costituita da circa dieci italiani e da quattro inglesi.

Alcuni giorni più tardi un distaccamento tedesco giunge in zona e dopo aver montato una piccola forza di artiglieria nella valle opposta inizia a bombardare in direzione del gruppo di partigiani, che decide di disperdersi su per la montagna. George osserva quanto accade dalla postazione che è riuscito a raggiungere: dopo il bombardamento la fanteria avanza dando fuoco alla casa presso cui avevano trovato rifugio[2]. Maurice Brown, sorpreso dal nemico, si arrende ed è ricatturato.

A febbraio la banda è cresciuta numericamente e ha ricevuto anche rifornimenti di armi. Negli ultimi giorni del mese si sposta a nord di Biella, fuori Borgosesia, dove occupa il piccolo villaggio di Rassa. I partigiani dispongono di una mitragliatrice che installano su un promontorio alle porte del paese. L’arma funziona, ma sono scarse le munizioni. Dopo due settimane di tranquillità, ricevono notizia di un imminente attacco tedesco. Sono circa le due del pomeriggio quando i nemici, quasi giunti alle porte di Rassa, vengono colti di sorpresa dal fuoco della mitragliatrice posta a presidio dell’abitato.

Quando le scarse munizioni sono terminate, George e i suoi compagni non possono fare altro che ritirarsi, allontanandosi tra le montagne. I tedeschi nel frattempo hanno raggiunto il villaggio con dei rinforzi e non tardano a bruciare tutto ciò che trovano. Joseph Dryhurst è in quel frangente catturato e fatto prigioniero, mentre Patrick Meehan fugge via senza più tornare in zona.

Il gruppo che rimane si unisce a un’altra banda partigiana, a cui si è aggregato un ex prigioniero di guerra australiano, rimanendo per un po’ presso il villaggio di Mera, per poi far ritorno nella zona di Biella.

George è l’unico inglese rimasto all’interno della formazione, che non ha un nome ufficiale ma che diventa presto nota come “Banda Biella”. Questi si adopera per contattare e cercare di coinvolgere alcuni degli ex prigionieri rifugiati in zona, senza successo.

Le notizie dal sud erano deprimenti e pensavo costantemente di attraversare il confine con la Svizzera. La buona notizia era che i partigiani stavano diventando più organizzati e che ora avevamo un’eterogenea collezione di armi. Ero meravigliato da dove potessero provenire. Le nostre finanze erano quasi inesistenti, perché non abbiamo mai derubato nessuno, anche se era cosa che spezzava il cuore comprare il bestiame dalla gente del posto, perché era il loro unico sostentamento. Dicevano che si sacrificavano per la causa. (Durante il mio periodo con i partigiani, ho ucciso un toro, quattro mucche e numerosi polli).

Con l’arrivo dell’estate 1944 la situazione sembra migliorare. Nel luglio del 1944 due ex prigionieri, Joseph Fenton, un ex guardia scozzese, Percy Dunmore, del reggimento “Signal”, chiedono di potersi unire alla banda.

È l’occasione perché George possa nuovamente tornare a pensare di attraversare il confine con la Svizzera, nonostante il capo partigiano “Danda” (Annibale Giachetti)  lo preghi di rimanere.

La missione verso la Svizzera non va però come dovrebbe: dopo aver lasciato i partigiani  i tre si spostano a sud di Biella, in una piccola località chiamata Arro. Mentre George si è allontana per reperire del cibo, Fenton e Dunmore sono intercettati da una pattuglia tedesca. Fenton capisce che non c’è possibilità di fuga e si arrende, mentre Dunmore cerca di allontanarsi di corsa ed è colpito a morte. George, rimasto da solo, torna a unirsi alla banda.

Nell’agosto ‘44 il gruppo riceve il primo lancio di armi da parte degli alleati. Alcuni mesi più tardi, a novembre, il maggiore Alastair MacDonald raggiunge la formazione. Sebbene non riveli a George quale sia il suo incarico, gli offre la possibilità di attraversare il confine o di unirsi alla missione che sarebbe stata guidata dal colonnello Bell e dalla sua squadra.

Questo mutò completamente la mia vita perché avevo una grande conoscenza del territorio e fui improvvisamente equipaggiato con nuovi abiti da combattimento che davano l’impressione di fare finalmente qualcosa di utile e di positivo.

Il primo compito del maggiore MacDonald è quello di organizzare e distribuire ai partigiani il maggior numero possibile di armi lanciate in Italia. Missione che impegna notevolmente gli uomini.

L’attività si sposta poi in Val d’Aosta. Partigiani e civili del posto, infatti, contattano il maggiore MacDonald per distruggere un ponte che permette ai tedeschi di trasportare in Germania materiale utile allo sforzo bellico. MacDonald e Bell curano l’organizzazione dell’azione, mentre George e gli altri della squadra preparano e trasportano nel luogo convenuto le cariche. Il ponte viene fatto saltare in aria con successo alla vigilia del Natale 1944. Si tratta di un duro colpo all’organizzazione tedesca, che scatena un feroce rastrellamento a Ivrea e nelle zone circostanti: lo stesso MacDonald viene catturato, anche se riesce a fuggire e a riparare in Svizzera. Per ordine del capitano Bell, George e i suoi compagni si dividono. Questi rimane comunque in zona Ivrea, in attesa che si “calmino le acque”.

Nei mesi a seguire George è sempre molto mobile e partecipa a numerose azioni di sabotaggio ai danni dei tedeschi, tra cui la distruzione di altri ponti nella zona di Ivrea, Vercelli e in Val d’Aosta, rimanendo con i partigiani fino alla Liberazione.

[…] In quel momento ogni cosa che viaggiava in strada era infastidito dai partigiani. Le cose andavano molto bene per noi, che avevano fatto il nostro quartier generale a Gressoney. […] Ogni cosa andava nella nostra direzione. Arrivarono piani per lanciare armi e rifornire la zona di Biella, così decidemmo di muovere in direzione di Ivrea e di aspettare l’arrivo delle truppe americane. Quando arrivarono controllavamo l’intera area e stavamo comodamente all’Hotel Dora.

Campi legati a questa storia

Fonti
  • Roger Absalom, A Strange Alliance. Aspects of escape and survival in Italy 1943-45, Firenze, Olschki, 1991 (trad. it., L’alleanza inattesa. Mondo contadino e prigionieri alleati in fuga in Italia 1943-1945, Bologna, Pendagron, 2011).
  • George Ernest Evans, A Bristish Pow becomes a Partisan, BBC people’s war, 8 novembre 2003 «https://www.bbc.co.uk/history/ww2peopleswar/stories/41/a2001141.shtml».
  • Anello Poma, Gianni Perona, La Resistenza nel biellese, Parma, Guanda, 1972.
  • Massimiliano Tenconi (a cura di), I ricordi di un soldato inglese, in «L’Impegno. Rivista di storia contemporanea» a. XXVII, n.2, dicembre 2007, pp. 23-31.

 


Note:

[1] Questo primo collegamento potrebbe essere rappresentato da Silvio Ortona “Lungo”, di origine ebraica, trasferitosi da Milano nel biellese assieme a un piccolo gruppo di amici.

[2] Il fatto è probabilmente legato al ciclo di operazioni avviato in zona dai tedeschi nell’ottobre del 1943. Il 13 novembre ad Eurosia furono appunto bruciate tre capanne e contestualmente vennero arrestati alcuni ex prigionieri.