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Charles Napier

V Indian division

Charles Napier, tenente della V Indian division, viene catturato con i suoi uomini il 14 giugno 1942 dalla XXI Panzer Division tedesca, a ovest di El Adm, in Libia. Subito dopo la cattura, Charles tenta la fuga. Insieme ad un sergente della sua divisione, infatti, si nasconde in una trincea, nella speranza che i tedeschi non si accorgano della loro mancanza. Tuttavia, i due vengono presto ricatturati, quando giungono altre truppe tedesche. Il 16 inizia così il viaggio di Charles verso l’Italia. I tedeschi consegnano i prigionieri agli italiani a Timimi, che li portano a Bengasi passando per Derna e Barca (oggi al-Marj). Gli ufficiali prigionieri vengono poi trasferiti a Lecce per via aerea il 21.  Il giorno seguente Charles viene trasferito al campo di transito di Bari (PG 75), dove rimane qualche giorno. Il 4 agosto arriva al PG 21 di Chieti.

Ben presto, Charles inizia a pensare alla fuga. Trova un compagno nel tenente Broad del Worcestershire Regiment e l’appoggio del camp leader, il colonnello Knight, oltre a quello del Escape Committee del campo, guidato dal colonnello Cooper.

Progettammo di fuggire passando per il tetto piatto di un edificio alla sinistra dei cancelli d’entrata del campo. Nella parte interna al campo [dell’edificio] c’era l’ospedale, e in quella esterna gli uffici amministrativi italiani. Ci allenammo, e raccogliemmo del cibo per la fuga. […] Per arrivare al tetto da cui speravamo di scappare, dovevamo scalare una grondaia, e facemmo pratica durante l’inverno, indossando scarpe da ginnastica e dei calzini sopra di esse, per attutire il rumore.

I due fanno un tentativo il 29 marzo 1943, grazie alla distrazione fornita da un complice che allerta le sentinelle: «il capitano Blackman lanciò una lattina giù da una scalinata». Broad tenta la scalata, ma la notte è umida e il tenente scivola, precipitando al suolo da un’altezza di circa otto metri. Charles, con l’aiuto di altri tre ufficiali, lo trasporta nelle cucine, dove viene medicato in segreto, per non rivelare l’accaduto agli italiani. Per di più, nella caduta, Broad aveva tranciato un cavo del telefono, insospettendo le guardie.

Nonostante questo fallimento, Charles non si dà per vinto, e si unisce ad un gruppo di prigionieri che sta preparando un tunnel per fuggire dalle latrine del teatro del campo. Sono in 15, guidati dal capitano Hazlehust.

Lavoravamo a turno, ogni turno supervisionato da un comandante e, anche se c’era una guardia posizionata ad appena 30 iarde [27 metri] da dove scavavamo, facemmo buoni progressi. Dopo aver scavato attraverso 6 pollici [15 cm] di cemento e 6 pollici di mattoni, scavammo in giù per 8 piedi [2,5 metri] e ricavammo uno spazio abbastanza grande per tre o quattro uomini. A questo punto trovammo l’acqua […] e scavammo in orizzontale attraverso il muro dell’edificio […]. Il tunnel era arrivato a circa 12 piedi [3,6 metri] quando fu scoperto dagli italiani.

Gli italiani rafforzarono la sorveglianza, ma nemmeno questo scoraggiò Charles, che si unì ad un altro gruppo di “scavatori” per fuggire dal campo. Questa volta il punto di ingresso fu stabilito nel locale caldaie.

Rimuovemmo il più basso di due gradini di pietra e il tunnel fu scavato al di sotto del secondo gradino. Il 4 agosto 1943, quando tutti i membri del gruppo furono trasferiti da Chieti, avevamo già raggiunto il muro di cinta. Gli italiani avevano un microfono nel “frigorifero” e forse riuscirono a sentire qualcosa attraverso di essi.

Anche Charles viene trasferito, il 4 agosto 1943, al PG 19 di Bologna Due Madonne. Qui si ricongiunge ad altri quindici «tunnelers» di Chieti e, ormai minatore provetto, inizia nuovamente a scavare. Siccome sta arrivando l’autunno (e i fuggiaschi vogliono arrivare in Svizzera), decidono di scavare dal cortile, in modo da non dove traforare il pavimento in cemento degli edifici del campo e guadagnare così tempo. Anche questo tentativo viene però scoperto, e il gruppo deve abbandonare l’opera.

Imperterrito, Charles trova altri compagni per scavare l’ennesimo tunnel, ma il loro lavoro viene interrotto di nuovo, stavolta dalla firma dell’armistizio tra gli Alleati e l’Italia. Gli italiani rifiutano di lasciar andare i prigionieri e i tedeschi arrivano al campo il giorno dopo, catturando Charles e i suoi compagni.

Blackman, il vecchio complice del primo tentativo di fuga di Charles in Italia, suggerisce di riprendere i lavori sul tunnel e usarlo come nascondiglio quando i tedeschi avrebbero deportato i prigionieri.

Usammo ceste da frutta e persino carriole per rimuovere la terra mentre scavavamo e i tedeschi, che non conoscevano la routine del campo, non ci scoprirono. […] Mettemmo delle scorte di cibo e acqua nel tunnel. […] Un altro ufficiale si offrì di rimpiazzare la piattaforma sull’entrata quando ci fossimo calati nel tunnel. I membri del gruppo erano: il capitano Michael Blackman, […] il tenente Richard Patridge, […] il tenente Peter Naimoff […], due altri ufficiali e io. Uno dei due di cui non ricordo il nome decise, dopo aver sperimentato le condizioni in cui eravamo nel tunnel, di non partecipare al piano.

Il problema principale è il ricambio d’aria, garantito solo da tre piccoli fori nella copertura in legno. Per non dare nell’occhio, i fori erano stati poi coperti con della carta e, sebbene il gruppo avesse previsto un sistema per poter sollevare la copertura di carta dall’interno, il flusso d’aria era molto ridotto.

L’11 settembre 1943, i prigionieri vengono informati che saranno trasferiti quello steso giorno e Charles e i suoi compagni si calano nel loro nascondiglio, dove restano fino al giorno successivo.

La buca era profonda 3 piedi [un metro], larga 2 piedi e 6 pollici [75 cm] e lunga 12 piedi [3,6 metri]. […] Eravamo tutti nudi fino alla cintola. Avevamo i nostri vestiti […] con noi nella buca. accendemmo un fiammifero solo quando la nostra scorta d’acqua si esaurì. Avevamo forato il tubo di scarico dell’acqua del bar e lasciati i rubinetti a sgocciolare. Le gocce d’acqua portavano un poco d’aria e refrigerio. Rimanemmo soddisfatti per circa otto ore. Dopo, l’aria divenne rancida e avevamo paura di addormentarci, quindi ci chiamavamo l’un l’altro bisbigliando per tenerci svegli.

Blackman viene mandato in ricognizione verso le due del mattino ma scopre che i tedeschi sono ancora nel campo. «Rimpiazzò la piattaforma, e lo sentimmo pestarci sopra e spargerci della polvere – una precauzione che prendevamo sempre. Non lo vidi più».

Patridge è il successivo a uscire, ma anche lui trova i tedeschi ancora nel campo.

Faceva sempre più caldo di sotto e, siccome avevo un piano per scalare il muro del campo, dissi che me ne sarei andato. Risalii con i miei stivali e la borsa del cibo in mano. […] Misi giù gli stivali e la borsa davanti alla porta della mensa e girai l’angolo dell’edificio. Potevo sentire i tedeschi nelle cucine […].

Strisciando, Charles raggiunge l’angolo del campo, dove è posizionata una guardiola ma non riesce ad appurare se ci siano guardie al suo interno. Torna indietro e scala la recinzione dell’edificio della mensa, quindi una seconda. Infine, scala il muro di cinta, alto più di tre metri, saltando nel fossato esterno. Dopo aver scalato un’ultima recinzione, Charles si trova all’esterno del campo. Scalzo, si nasconde in un boschetto che aveva individuato in precedenza, a nord. «Non sentii suonare l’allarme, e mi incamminai verso nord-est attraverso i vigneti». Arrivato ai binari della ferrovia per Bologna, li usa per orientarsi, piegando verso sud con l’intenzione di raggiungere la costa.

Giunsi ad un fiume che era quasi in secca e qui ebbi l’idea di rimettermi i calzini, immergere i piedi nell’argilla del letto del fiume e lasciarla indurire. La copertura che ne ricavai per i piedi mi permise di camminare in relativa comodità, poiché tenne spine e stoppe lontane dai miei piedi.

Charles sta ormai marciando da molte ore e, nel pomeriggio del 12 settembre, giunge a Castel San Pietro (BO), dove trova rifugio in una villa. Gli italiani, oltre a nutrirlo, gli danno 300 lire e un paio di scarpe. Charles lascia i suoi benefattori quella stessa sera e si dirige nuovamente verso la ferrovia. Arriva a Imola, dove riesce a salire su un treno senza biglietto, nella confusione generale, che lo porta a Termoli. «Finsi di dormire per la maggior parte del tempo e a volte mi misi a leggere un giornale che avevo raccolto alla stazione».

A Termoli i tedeschi bloccano il treno, facendo scendere i passeggeri che, però, sono lasciati andare. Charles, che spera sempre di poter incontrare le truppe alleate sulla costa adriatica, decide di continuare nella sua marcia verso sud-est. Continua a seguire i binari e giunge a Ripalta il 14 settembre. Un contadino del posto accetta di portarlo con il suo carretto a Poggio Imperiale. Qui «mi recai in un piccolo caffè e mi diedero un piatto di maccheroni».

Il piano di Charles ora cambia, forse perché gli italiani che incontra lo aggiornano sulla situazione. Decide quindi di raggiungere Napoli, superando gli Appennini. Arriva a San Severo a piedi e grazie a dei passaggi, ma qui gli italiani lo informano che la zona è controllata dai tedeschi. Charles quindi torna indietro, fino a Margherita di Savoia, sulla costa. Tuttavia, anche qui è costretto a ripiegare, poiché le truppe nemiche sono dappertutto, e raggiunge Andria. Da qui, passando per Corato, Ruvo e Bitonto, arriva a Bari nella sera del 17 settembre. La sua fuga è durata meno di una settimana.

Gli italiani mi furono di grande aiuto, erano amichevoli una volta che capivano che non ero un tedesco. Mi diedero frequentemente dei passaggi e mi dissero come evitare le zone piene di tedeschi. Mi diedero anche cibo senza pretendere di essere pagati.

Dopo un breve soggiorno in Puglia, Charles viene inviato ad Algeri e quindi a Marrakech, dove si imbarca su un aereo diretto in patria. Arriva nel Regno Unito il 12 ottobre 1943, sedici mesi dopo la sua cattura in Libia.

Fonti
  • TNA, WO 208/3315/10, Cross, Charles Napier. Prisoners of War Section. Escape/Evasion Reports: Code MI9/SPG: 1466.